A Portoferraio, mercoledì, passando dal Benvenuto agli ospiti, di fronte alla Banchina d'Alto Fondale alcune donne hanno posto fiori o messaggi sulla panchina rossa.
Tra queste Anna Galli che si è recata nel pomeriggio del 25 novembre rendere e il suo omaggio, sulla panchina-simbolo del no alle violenze nei confronti delle donne, che l'8 Marzo 2019 aveva inaugurato, rappresentando lo Spi CGIL elbano, con le autorità locali.
Nella ricorrenza due studentesse universitarie portoferraiesi hanno così espresso le loro riflessioni:
"Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne". Definizione corretta, ma diciamocelo, non proprio esaustiva. Innanzitutto, di quale violenza stiamo parlando? Lo chiediamo a voi che ci state leggendo, affinché sia uno spunto di riflessione per tutti e non un semplice articolo da accantonare subito dopo averlo letto. Il maltrattamento nei confronti delle donne è un fenomeno da anni minimizzato e stereotipato: la donna maltrattata non è altro che la povera madre di famiglia sfregiata con l'acido dall'ex marito, la ragazzina che viene stuprata in un garage o quella che viene presa a sberle in faccia dal fidanzato. E' una femmina "debole" il cui corpo diventa testimone di un'aggressione fisica, niente di meno e niente di più di questo. Ma è sbagliato: ciò significa ridurre ai minimi termini una questione più grande di quella che sembra, concentrarsi solo sulla "punta dell'iceberg" ben visibile ed ignorare tutto
quello che si cela dietro. E per risolvere definitivamente il problema occorre esaminare proprio la parte più impercettibile: la violenza che non fa rumore, che s'insinua silenziosa e maligna nei discorsi prima di tramutarsi in fatti e sfociare poi nella tragedia, quella che fa scalpore e che si sente alla tv. Ogni giorno, di fronte all'ennesimo scandalo (stupro o omicidio che sia) additiamo prontamente l'assassino come un "pazzo." Ormai è diventata una consuetudine: una frase canonica che ripetiamo tutte le volte, quasi volessimo liberarci dal peso di pensarci e di cercare una spiegazione logica a certe dinamiche. Ma i "pazzi" di cui parlate ad oggi nel nostro paese sono più di 60, l'anno scorso 73 e l'anno ancora prima 74. E stiamo parlando "solo" di omicidi: una parte (importante certo) ma comunque infinitesimale rispetto a tutto ciò che le donne subiscono ogni giorno. Paragoniamo la violenza ad un essere umano: l'uomo non si sveglia una mattina con l'intenzione di diventare adulto. Crescere è un processo lento e progressivo, che presume una maturazione graduale. Allo stesso modo, dietro l'uccisione improvvisa di una donna da parte dell'ex, si nasconde un mondo fatto di battutine, frasi, messaggi e piccoli gesti da non sottovalutare mai. Occorre coglierli, quei segnali, perché anche un minuscolo fiammifero sarebbe in grado di incendiare una casa se non viene fermato in tempo. Ogni giorno siamo vittime di violenza e la cosa più avvilente è che non riusciamo a rendercene conto, prese dalla stupida convinzione che certi atteggiamenti siano "normali." Questo ci porta spesso a sorvolare, a minimizzare certe situazioni, a non dar peso a ciò che invece è più che degno della nostra attenzione.
Ancora una volta vi chiediamo: cosa è normale per voi? E' normale essere screditate da qualcuno con battute sessiste ma far finta di niente, tanto "stava solo scherzando"? E' normale sottostare alle regole di un eventuale partner, sacrificare la vostra libertà perché tanto lui "non vi ha mai torto un capello"? E' normale giustificare ogni suo gesto o parola perché "gli uomini cattivi sono altri, quelli che uccidono e lui non mi ha mai toccata"? Questa - permetteteci di dirvelo - non è la normalità, ma la più misera forma di minimizzazione che esista. Minimizzare significa essere insultate, far notare la mancanza di rispetto e sentirsi rispondere: "Ma di che ti lamenti? Mica ti ho menata". E' sentirsi dire "Ti aiuto" mentre stai pulendo la cucina o piegando i lenzuoli, come se prendersi cura della casa fosse solo compito tuo in quanto donna. E' permettere a qualcuno di sminuire la persona che siete, voltarvi dall'altra parte e fingere di non aver sentito. Sottovalutare la gravità di certe azioni o parole, anche questa è violenza: la peggiore, perché inflitta da noi stesse nei nostri confronti. Sfatiamo il mito che la "violenza" è riconducibile solo alle percosse e facciamoci una promessa per oggi, 25 novembre: parlare anche di questo, non solo di abusi e omicidi. Perché anche la più comune e stupida forma di mortificazione, così innocente all'apparenza, ferisce quanto uno schiaffo. E l'impegno nel conferire a certe calunnie la stessa importanza che diamo ad altre è il primo passo per superarle definitivamente”.
Diletta Amore e Bianca Zottola