Quando a metà ottobre 1575 il capomastro Giovanni di Marco Fornaciari, detto Lo Spagna, sbarcò sull'Isola, forse non si aspettava di immergersi in un coacervo di problemi e dispute confinarie. Prestato dall'ufficio dei Capitani di Parte Guelfa (una specie di ministero dei lavori pubblici) a quello dei Nove Conservatori del Dominio e della Giurisdizione fiorentina (che si occupava di confini), egli aveva l'incarico di concludere l'operazione di terminazione, ovvero di apposizione dei cippi confinari, o Termini, che dovevano indicare il limite della medicea Cosmopoli, separandola dal resto dell'isola che apparteneva invece al Principato di Piombino. Il Fornaciari sarebbe passato alla storia non per questa, seppur impegnativa, operazione ma per aver contribuito al progetto di bonifica della Valdichiana. Egli andava a sostituire il commissario alla terminazione Bernardo Puccini, deceduto proprio mentre stava compiendo il suo lavoro. In realtà quest'operazione si era interrotta ben prima che il Puccini venisse a mancare, a causa dei problemi insorti col commissario del principato Costantino Salvi a proposito del posizionamento di tre cippi. Dopo aver murato i cippi a Bagnaia, alle Panche, su Monte Castello, al Belvedere (sopra Porto Azzurro), alle Ceppete e sulla spiaggia di Acquaviva, i due commissari non si trovavano d'accordo sulla collocazione dei cippi al Felciaio, su Monte Orello e a Santa Lucia.
Nonostante che il Principe di Piombino, desideroso anch'esso di concludere la terminazione, avesse sostituito il Salvi, ritenendolo troppo pignolo, col capitano Baldassarre Ballotta da Perugia, i lavori non proseguivano ugualmente. Il motivo del contendere riguardava il modo di calcolare la posizione del cippo n. 5, quello del Felciaio (la numerazione partiva dal cippo di Bagnaia col n. 1 e terminava all'Acquaviva col n.9). Per capir bene il contendere occorre fare un passo indietro, tornando al primo accordo fra principe di Piombino e duca di Firenze siglato a Londra nel 1557 sotto l'egida dell'imperatore. In quest'accordo si diceva che Portoferraio dovesse avere un'estensione di territorio di due miglia (circa 3,5 chilometri) ma che su questa indicazione valeva il principio che il confine dovesse comunque coincidere col crinale dei monti intorno alla città medicea. Finché si era trattato di rispettare il criterio del crinale dei monti, molti problemi erano stati risolti (molti, non tutti...). Ma nella zona fra Belvedere e Monte Orello, dove andava collocato il cippo n.5, la catena dei rilievi intorno a Cosmopoli che ancor oggi desta l'ammirazione dei turisti che arrivano col traghetto, si interrompe. In questa zona viene a mancare il riferimento inequivocabile del crinale e l'unico modo di tracciare il confine è quello di misurare le due miglia. Il Salvi prima e il Ballotta dopo proponevano dei metodi di misurazione che non convincevano i portoferraiesi. Ma era questo il vero problema?
Messosi subito all'opera, lo Spagna aveva calcolato la distanza di due miglia iniziando dal golfo di Portoferraio, aveva fatto due piante su cui con una croce aveva indicato la posizione del cippo e le aveva inviate a Firenze. Ma pure a lui era venuta qualche perplessità: il cippo n. 5 cadeva sì nella zona del Felciaio, ma esattamente in mare! In questo modo Portoferraio si inseriva nell'isola proprio come un cuneo vien sospinto a martellate in un tronco per poi spaccarlo in due. Ecco dunque spiegate le opposizioni dei commissari. Atteggiamento più rilassato dei suoi sudditi aveva il principe di Piombino, fiducioso che il granduca mantenesse la sua parola di creare una strada, che unisse i due pezzi dell'isola, esente da controlli e gabelle. Fiducia non proprio condivisa dagli isolani, soprattutto dai Capolioveresi che vedevano il nuovo confine frapporsi fra il loro castello e una parte importante della loro comunità, quella di Lacona. Carlo Pitti, diretto superiore dello Spagna, ricevute le piante, lo aveva sollecitato a non demordere e a mettere in atto quello che aveva calcolato, ma nel contempo lo invitava a riprendere le misure, rammentandogli una tecnica usata qualche anno prima in Lunigiana. Fatto sta che lo Spagna dovette aver ricalcolato la giusta distanza se il cippo n.5 venne finalmente murato il 5 gennaio 1575 in località detta Il Buco sul monte della Capitorsola, a due passi dalla spiaggia del Felciaio. Ad una distanza sufficiente dal mare tanto da consentire i collegamenti all'interno del territorio di Capoliveri. Quello del Felciaio risultò essere l'unico Termine ad aver rispettato la regola delle due miglia, almeno secondo i calcoli fatti circa un secolo e mezzo dopo dal governatore Coresi Del Bruno. Il problema sembrava dunque risolto. Ma di fatto i Capoliveresi non accettarono mai la posizione di quel cippo. Per ironia della sorte, non la mappa definitiva ma una delle piante in cui si vede il confine di Portoferraio cadere in mare, finì nell'archivio delle Piante Antiche dei Confini che oggi è conservato nell'Archivio di Stato di Firenze, a perenne ricordo di questo pasticcio.
Il fuoco covava sotto la cenere. Un'ispezione condotta sotto il governatorato di Giovan Vincenzo Coresi Del Bruno nel 1737 appurò che il cippo del Felciaio era scomparso. Fu mandato a fare un sopralluogo il capitano Antonio Sarri (sì, proprio lui, l'ingegnere portoferraiese autore de L'Isola del'Elba), il quale da perfetto conoscitore del territorio elbano non si fece confondere dai Capoliveresi che lo volevano condurre altrove e ritrovò i resti del cippo, che erano stati nascosti ad arte da dei rovi. Immediatamente il governatore ordinò che quel poco che rimaneva del cippo venisse sorvegliato notte e giorno per il pericolo che fosse fatto sparire del tutto. Quattro Portoferraiesi si nascosero dietro i cespugli, osservando cosa succedeva nei pressi. Quasi ogni ora una staffetta aggiornava il governatore su quanto accadeva, portando brevi messaggi vergati da Anastasio Barlotti, uno dei sorveglianti. Fino a che lo sparuto gruppo di Portoferraiesi non si ritrovò circondato da delle persone armate, così decise di lasciare il posto e ritirarsi all'Acquabona. Giorni dopo, l'apposita commissione di riapposizione composta anche da persone del Principato e di Porto Longone appurò la presenza dei resti e successivamente, nonostante altri tentativi di sviamento dei Capoliveresi, il cippo fu ripiantato in quel luogo. Il Sarri, rendicontando la sua ricerca al governatore, così etichettò il comportamento dei confinanti: “Arguisca Vostra Signoria Illustrissima con qual razza di gente si trattava, e di qual tempra fosse la sincerità di quei soggetti”.
Il cippo n. 5 fa ancor oggi bella mostra di sé appena sopra la sterrata che dal Felciaio porta a Norsi, fuori dagli sguardi indiscreti dei bagnanti che scendono alla spiaggia. In quel luogo il confine compie come del XVI secolo un netto angolo a novanta gradi ed è quindi un riferimento importante. Questo potrebbe spiegare perché sia uno dei soli due Termini rimasti sul totale di 9. Una mano gentile lo ha restaurato nel 2010.
Fabrizio Fiaschi
Bibliografia
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