Il 16 marzo 1728 Paolo Piglini, detto Bellezze, stava pascolando le sue capre quando vide spuntare da dietro ad alcuni massi cinque uomini armati. Poiché aveva un conto aperto con quelli di Rio per essere stato accusato di furto, non perse tempo e se la svignò alla chetichella portandosi appresso le capre. Gli uomini si avvicinarono allora al suo garzone, tal Pietro Falchetti, che stava tranquillamente chiacchierando con fra' Pier Francesco da Montevarchi, monaco osservante di San Francesco, vicino ad un “chiuso” per capre (cioè un recinto, fatto nel caso specifico di pietre). Gli uomini armati, dopo aver chiesto al Falchetti chi fosse, gli misero le mani addosso e lo catturarono. Ma di cosa veniva accusato il Falchetti? Le guardie di Rio, sede del governatore del Principato, avevano avuto specifico mandato di arrestare i due pastori portoferraiesi poiché portavano le loro capre a pascolare nel territorio appartenente al Principato di Piombino (ricorderò velocemente che Portoferraio era un exclave medicea all'interno delle terre del Principato di Piombino). L'arresto era probabilmente un atto di ritorsione per le numerose confische di bestiame che i soldati granducali eseguivano in occasioni di sconfinamenti, soprattutto nella zona di Rio.
Ma ritorniamo al povero Falchetti. Secondo l'interpretazione dei Portoferraiesi, il Bellezze e il Falchetti avevan ragione da vendere nel portare al pascolo le loro bestie nella zona dell'arresto. Ma di quale zona si trattava? I due pastori si trovavano agli antipodi di Rio, in una località chiamata Piana delle Petricaie nei pressi del Monte Pericoli, che all'epoca era chiamato Colle delle Martinasche. Era quella una zona “calda” poiché dal 1689 era rivendicata dal Principato in barba, secondo i portoferraiesi, a tutti gli accordi bilaterali. Una ventina di anni prima, in una zona poco distante, fra l'Aia alle Catre (il toponimo è presente solo sulle vecchie carte) e il Colle delle Martinasche, erano stati arrestati dai gendarmi del Principato due fratelli, Jacopo Maria e Giovanni Battista Bonaldi. L'arresto aveva scatenato una lunga disputa sul confine che portò ad un processo. Arrestati nel 1707, governatore Alessandro Del Nero, nel 1716 il processo era ancora in corso e, almeno allo stato corrente delle ricerche, non risulta una sua conclusione. Nel corso del processo i Bonaldi vennero scarcerati, come atto unilaterale di generosità da parte del governatore del Principato, senza che fosse riconosciuto alcunché in merito alla giurisdizione della città medicea. Così il problema confinario non era stato risolto e la questione era destinata a protrarsi nel tempo.
Cosa era successo nel 1689, anno di inizio delle pretese territoriali dei governatori del Principato? Il confine di Portoferraio era stato tracciato nel 1575. Solo pochi anni dopo, nel 1579, il Termine (cioè il cippo indicante il confine) posto nel castello di Santa Lucia fu spostato sui Monti della Barbatoia (molto probabilmente sul rilievo oggi chiamato Monte San Martino). In quell'occasione, per rimarcare che il confine doveva passare lungo il crinale dei monti come dicevano i vecchi accordi fra i regnanti, furono collocati quattro signacoli nei punti dove potesse sorgere qualche dubbio. Due di questi signacoli furono posti uno a poca distanza dal Termine delle Ceppete, sul monte chiamato oggi Serrone delle Cime, e l'altro alle Tre Acque (è la selletta dove dalla provinciale si diparte la strada per la Biodola). Proprio da lì il confine saliva sul crinale in direzione del Monte Pericoli, comprendendo nella giurisdizione di Portoferraio tutta la valle di San Martino. Questi signacoli erano delle croci scolpite su massi naturali. Ma, in occasione della riapposizione di alcuni cippi andati distrutti, nel 1689 il governatore portoferraiese MarioTornaquinci fece scrivere nell'atto notarile susseguente (ogni atto riguardante il confine veniva minuziosamente riportato in un contratto) che i signacoli di cui sopra non avevano alcun valore legale. Questa fu la scintilla che riattizzò l'incendio mai del tutto spento dei bisticci confinari. I rappresentanti locali del Principato ritennero da quel momento che il confine della città granducale dovesse andare a linea retta da un Termine all'altro e non seguire il crinale dei monti. Il Principato rivendicò proprio la parte alta della Valle di San Martino, che restava, secondo loro, fuori dal confine che dalle Ceppete tirava dritto sino alla Barbatoia. Il problema, che detto così può sembrare confuso, si chiarisce subito avendo davanti una carta geografica. Nonostante che per i piombinesi non si potessero nutrire dubbi sull'esito del contratto del 1689, qualcuno pensò che sarebbe comunque stato meglio far sparire un signacolo cruciale, quello delle Tre Acque, che indicava chiaramente la strada da prendere per percorrere il “vecchio” confine. L'ispezione voluta dal Del Nero e condotta dal Capitano Sarri nel 1704 appurò che il signacolo di cui sopra era sparito. Cosa confermata anche dall'ispezione del capitano capoliverese Giovanni Mursi nel 1716. Quindi i cercatori di cippi, come noi siamo, possono desistere da subito dal tentativo di ritrovarlo...
Ma che fine fece Pietro Falchetti? Per la sua cattura fu istruito un processo e furono chiamate a testimoniare varie persone. Oltre a fra' Pier Francesco da Montevarchi, deposero alcuni anziani del Poggio. Domenico di Leone Paolini testimoniò che “il chiuso di capre fatto di muro a secco in luogo detto Le Petricaie […] da venti due anni in qua ho visto sempre esserci stato e ve lo fece fare il tenente Andrea Antonio Mazzarri del Poggio, mia e sua patria, e d'ordine del medesimo lo facessimo io e mio fratello, et il terreno dove è posto detto chiuso è di Domenico del Miligni del Poggio et è sotto la giurisdizione di Sua Eccellenza e territorio del Poggio”. Il governatore piombinese Tranquillo Fattorini, il cui nome rispecchiava probabilmente il suo carattere, dietro richiesta del governatore portoferraiese Luigi de' Bardi, fece scarcerare subito il Falchetti. Il Fattorini tenne però a precisare che quest'atto di buona vicinanza non era il riconoscimento delle pretese territoriali fiorentine.
Luigi de' Bardi aveva aperti altri due fronti inerenti le questioni confinarie: lo sconfinamento del capoliverese Grifi, che aveva seminato su suolo portoferraiese dalle parti di Belvedere, e, soprattutto, la disputa sul pagamento delle gabelle che i piombinesi esigevano per la merce proveniente da Portoferraio, incuranti di una specifica presa di posizione a favore del libero commercio da parte del loro sovrano. Un impegno così solerte del de' Bardi invece di fargli ottenere un encomio da parte dei suoi superiori, finì per procurargli qualche critica. Il suo zelo metteva a repentaglio i buoni rapporti fra Medici e Appiani.
Una decina di anni dopo il governatore portoferraiese Giovan Vincenzo Coresi Del Bruno notò che il confine rettilineo sostenuto dai piombinesi contraddiceva i vecchi accordi fra i sovrani. Lo fece notare con grande cautela ai suoi superiori di Firenze ma non ricevette alcuna risposta. Di tutta questa vicenda oggi rimane, oltre alla documentazione scritta, una bella carta con le due “versioni” del confine eseguita da Antonio Sarri, ingegnere di Portoferraio, ora conservata all'Archivio di Stato di Firenze.
Fabrizio Fiaschi
Bibliografia
FIASCHI F. (a cura di), Capitano Antonio Sarri. Isola del'Elba, Un manoscritto del XVIII secolo, Capoliveri 2019.
FIASCHI F., I confini di Cosmopoli. Storie e percorsi intorno a Portoferraio, Isola d'Elba, Firenze 2019.
MARONI L., Confini del territorio di Portoferraio nell'isola d'Elba, «Lo Scoglio», 2005, n. 73.
ROSPIGLIOSI C., Gli antichi confini di Portoferraio, «Lo Scoglio», 1999, n. 55.
SARDI M., Statuti di Portoferraio (sec. XVI), Capoliveri 2017.