Avrà fatto salti di gioia. Avrà cantato e, come un rapper, raccontato la sua esperienza. Ne ho incontrati di uomini e donne (quanti giovani!) esultanti e, talvolta, fra le lacrime narrare il proprio ritorno alla vita, alle relazioni di cui la vita è fatta.
Proprio come il lebbroso di cui parla il vangelo di oggi. Il lebbroso è un emarginato sociale secondo la legge di Mosé. La sua malattia è in qualche modo collegata al peccato, cioè alla lontananza da Dio. Gesù ne ascolta il grido di invocazione e lo tocca: lo include in una relazione da cui era stato estromesso e mostra, anche in questo caso, il vero volto di Dio che è solidarietà e tenerezza.
Chi sono i lebbrosi di oggi, che consideriamo meno degni di vivere fra noi? I lebbrosi che disturbano il nostro modo di vivere, che ostacolano i nostri progetti? Cosa succede quando riusciamo a vederli, quale reazione abbiamo: indifferenza, fastidio, compassione, cura, inclusione? Che cultura alimentiamo, quella dell'accoglienza o quella dello scarto (con le uccisioni sociali e morali)?
Tutto il vangelo è il tentativo di suscitare risposte a domande come queste. Tutto il vangelo è educazione del desiderio dell'uomo, affinché diventi il desiderio stesso di Dio, cioè la benevolenza. “Abbiate gli stessi sentimenti di Gesù Cristo” (san Paolo), che da divino si è fatto uomo e servo e vittima, innocente, per difendere e promuovere l'umano.
La logica mondana è contrapposta alla logica del vangelo. I valori della seconda contraddicono quelli della prima. L'emarginato è chi è considerato diverso rispetto ai modelli dominanti.
Ma il vangelo capovolge questi modelli e, anzi, l'emarginato è posto al centro della scena. Addirittura non riesce a tacere e racconta a tutti la sua esperienza di bontà e bellezza scoperte o ritrovate. E lo fa per amore degli altri, perché la bellezza e la gioia possano essere sperimentate da chiunque. L'incontro con il Cristo è stato liberante: la parte migliore dell'uomo è sbocciata e si offre agli altri, additando nuove possibilità di vita.
Anche oggi ci sono figli che ritrovano il Padre, uomini che si riscoprono fratelli. Non fanno chiasso, non ostentano alla maniera della logica dell'apparenza: essi parlano con la loro vita e nella discrezione offrono, talvolta inconsapevolmente, parole di vita che essi stessi ricevono ed accolgono quotidianamente. Persone umili che non rimandano a sé ma alla fonte del loro rinnovamento. In tempi di crisi, bisogna saper guardare oltre il consueto per scorgere chi, senza clamori, sperimenta il mondo nuovo della fraternità e dell'inclusione. E poi decidere.
(14 febbraio 2021 – sesta domenica tempo ordinario)
PS – Un assiduo lettore nota che il "giudicare gli altri" è pratica diffusa, anche fra i cristiani (e infatti il Papa lo ricorda spesso). Chi si riconosce nel progetto evangelico e nei suoi criteri (gli stessi di Cristo), può verificare il proprio posizionamento rispetto ai valori attraverso un semplice esercizio periodico: leggere in successione la parabola del giudizio finale (Matteo 25,31-46), il canto di Maria del Magnificat (Luca 1,46-56), le Beatitudini (Matteo 5,1-11) e, se possibile, l'intero Discorso della Montagna (Matteo 5-7).
Nunzio Marotti
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