Così è possibile che in una luminosa mattina di quel lontano settembre 1926 il nostro artista, fatta colazione la mattina presto, portando con sé nello zaino una bottiglia d’acqua, o una borraccia, e un piccolo “convio” rappresentato forse da un po' di pane e formaggio, munito del suo materiale da disegno e di alcune tavolette di legno che servivano per appoggiare i fogli durante il lavoro artistico, abbia intrapreso con il figlio diciannovenne Felix quell’antica mulattiera che passava a poche centinaia di metri dalla sua residenza isolana. Le tavolette di legno e altri fogli di carta dovevano servire anche per preservare i campioni da erbario che i due turisti raccoglievano durante le passeggiate documentando la flora isolana, preziosa testimonianza dell’interesse per la natura e le sue forme.
Gli escursionisti avevano saputo che altra acqua fresca poteva essere prelevata lungo il cammino presso alcune sorgenti che si trovavano in prossimità della mulattiera. Allora le piccole fonti che fornivano il prezioso elemento necessario alla vita erano custodite e rispettate dai viandanti e dai pastori che conoscevano l’importanza di quei fondamentali punti di rifornimento. Se poi avessero raggiunto Rio Elba, poi lì l’acqua fresca sarebbe sgorgata copiosa dalla famosa fonte dei Canali e il rifornimento sarebbe stato assicurato.
Il clima sarebbe stato caldo, anche se nelle giornate precedenti alcuni acquazzoni e un colpo di maestrale, seguito dal grecale, avevano rinfrescato l’aria. Ma ormai il temporale era passato e il sole splendeva, unica infuocata presenza nel cielo azzurro. L’effetto delle prime piogge di settembre dopo una lunga estate asciutta era stato quello di risvegliare la natura e i profumi della macchia e di ripulire l’atmosfera dalla foschia estiva. L’aria era tersa e i colori vividi, con il verde dei boschi e delle macchie che risaltava tra il blu del mare e del cielo. La via, lasciata la valle coperta dalle vigne, iniziava subito a salire in una rada macchia fiancheggiata da alcuni olivi e da qualche pino, con il profumo degli aghi che emanava dal terreno fondendosi con l’aroma della lavanda, dell'elicriso e dei cisti che si destavano dal torpore estivo. Più in su la macchia si univa a un boschetto di sughere dalla corteccia scolpita. L’osservazione di quei singolari fusti e la raccolta di alcuni campioni di foglie e rametti, staccati con un coltellino da campagna, davano la possibilità di prendere fiato per continuare il cammino in salita che sarebbe durato ancora un po', fino ad uno stretto passaggio fra le rocce sui fianchi di quel singolare sperone di roccia dominato da una fortezza.
Centododici anni prima di Klee un altro importante personaggio si era inerpicato su quei rilievi lungo la stessa mulattiera, o “strada maestra riese”: si trattava nientemeno che di Napoleone Bonaparte, esiliato all’Elba, il quale il 5 maggio 1814, un giorno dopo il suo sbarco sull’isola voleva visitare i giacimenti di ferro di Rio Marina, principale risorsa economica del suo nuovo piccolo regno e incontrare il direttore delle miniere Pons de l’Hérault. Giunto a cavallo da Portoferraio aveva visitato, poco lontano dal lido dell’Ottonella, il deposito d’acqua potabile presso la spiaggia della Concia di Mare, realizzato nel 1700 dal Governatore Tornaquinci e poi si era diretto su quella via prima a Rio Castello per scendere poi alla Marina a pranzo a casa del direttore.
Mentre Napoleone era salito a cavallo, scendendo di sella forse in corrispondenza di qualche passaggio più impegnativo, Paul Klee procedeva a piedi osservando con calma il paesaggio, la Natura e le rocce che lo circondavano, raccogliendo rametti e foglie che avrebbe conservato nel suo erbario elbano, materiale che sarebbe rimasto a lungo nel suo studio al rientro in Germania. Dopo il boschetto di sughere il sentiero lambiva la densa lecceta che risaliva il monte dalla “Valdinella”, dove un fresco sentiero attraverso quell’ombrosa valle permetteva di scendere a Bagnaia. L’ombra era un ristoro per i nostri escursionisti perché la giornata si faceva sempre più calda. La via era quasi deserta a parte qualche raro carbonaio che scendeva con il suo asino carico con due grosse ceste piene di carbone che si bilanciavano sul dorso dell’animale. Pochi altri viandanti venivano giù a piedi dal monte: Klee notò che alcuni percorrevano scalzi l’aspra via, con le scarpe, quelle belle “da città”, legate a tracolla. Erano i Riesi, abituati alla durezza della vita della miniera e della campagna, diretti ai Magazzini, poco lontano dalla Villa Ottone, per imbarcarsi da quel modesto moletto sui natanti che facevano la spola, a vela e a remi, tra la piccola frazione e la città situata quasi di fronte al di là della baia, facilitando le comunicazioni e permettendo loro di risparmiare tutto il lungo cammino che fiancheggiava il golfo di Portoferraio. Una volta giunti sulla banchina della città avrebbero finalmente indossato le scarpe buone così protette dalle scabre pietraie del Volterraio.
Il bosco diventava sempre meno fitto per cedere il posto ad una rada macchia soprattutto in corrispondenza di un rustico viottolo, più affine alla consuetudine di capre e pastori, che si staccava sulla sinistra verso la vetta di quell’aspro rilievo sormontato dalla rocca del Volterraio. La fortezza l’avevano già osservata incuriositi dal basso, dalla nave che da Livorno li aveva condotti a Portoferraio, poco prima di sbarcare. E poi, ancora dall’imbarcazione che li aveva portati a Magazzini; pure dal mare dell’Ottonella, avevano scrutato il monte dominato da quella struttura, quasi il nido di un grande rapace.
La via proseguiva proprio sotto la parete rocciosa aspra e verticale, di pietra rossiccia e fratturata, per sostenere quel castello che si fondeva quasi con la conformazione geologica. A Klee sembrava un paesaggio già osservato nelle opere dei pittori romantici tedeschi: rovine, pareti verticali, una piccola lecceta dalle scure chiome sui fianchi di quella torre litica.
Le rocce apparivano vistosamente stratificate, più rosse, a volte con sfumature nerastre o verdastre, con una vasta gamma delle tonalità delle ocre, come le pagine di un libro, il libro della natura che conteneva un’inesauribile varietà di forme e colori. Alcune capre, bianche, rossicce e nere guardavano incuriosite dall’alto di due passanti che rimanevano a bocca aperta osservando gli anfratti e terrazzi rocciosi sullo strapiombo che gli animali avevano raggiunto.
Ben diverso era il panorama alla loro destra, laggiù oltre la stretta vallata che separava il cono del Volterraio. Lì il bosco appariva fitto, di un verde intenso, occulto e indecifrabile, coperta vegetale che ammantava i fianchi di quei rilievi che salivano ancora più in alto. A dispetto di quella coltre apparentemente impenetrabile, qua e là un filo di fumo quasi trasparente e azzurrino saliva al cielo verticale. Era l’indizio della presenza delle carbonaie, che dopo la pausa estiva avevano ripreso a trasformare il legname del bosco nel prezioso carbone di legna. Ben diverso da quelle esili emissioni era invece il fumo nero e denso che l’artista aveva visto uscire dalle alte ciminiere degli altiforni, alla periferia di Portoferraio, sull’altro lato della baia.
Il sole era alto ormai ma per fortuna la salita era finita: dopo una strettoia in mezzo alle rocce fratturate, passaggio chiamato dai locali “Li Stretti”, la via proseguiva pianeggiante sul fianco di un rilievo ancora più alto: qui i monti apparivano nudi ma meno aspri, privi di una vegetazione alta ma coperti solo di un manto erboso e di bassi cespugli. Un gregge di pecore pascolava placidamente in quell’erba che emanava un miscuglio di aromi tanto da pervadere l’aria e ricordare il profumo della liquirizia e di alcune spezie orientali. La mulattiera conduceva finalmente alle Panche, il valico con l’altro versante della catena dell’Elba orientale. Il mare era nuovamente davanti a loro: era il canale tra l’isola e il continente che appariva in lontananza. Più sotto era infine la discesa che li conduceva verso Rio Castello che apparve svelato da un altro piccolo colle. Era quasi l’ora di pranzo e l’escursione aveva messo appetito e così fu deciso di consumare il piccolo convio da qualche parte presso il colle del Pianello o sui fianchi Monte Capannello con quella sorprendente veduta del paese, le vallate che scendevano al mare, un isolotto e la costa toscana che appariva laggiù in fondo. Il semplice pane e formaggio con quel panorama era più saporito, condito dagli aromi della macchia circostante e dalla piacevolezza visiva. Gli occhi dell’artista leggevano uno per uno i particolari del paesaggio, così complesso e luminoso, ricco di colori e vario, con alcuni piccoli velieri che attraversavano il canale. Poi lo sguardo saliva per scrutare più vicino e si soffermava sulla struttura del paese appoggiato al pendio, quelle forme armoniche che raccontavano una storia antica. E così Paul Klee, mentre il figlio calato il cappello di paglia sul viso si riposava nel sole mediterraneo, situato da qualche parte sui quei pendi erbosi, presa la matita e un foglio di carta Ingres tedesca opportunamente stesa e fissata sulla tavoletta di legno appoggiata alle ginocchia, sintetizzò con precisione e decisione con uno stile quasi cubista quegli antichi volumi stesi sui monti riesi.
Queste semplici righe sono solo un esercizio di fantasia col quale ho cercato di immaginare i passi di Klee sui quei sentieri elbani. Non conosciamo in effetti le esatte circostanze e tempi, se alle escursioni partecipasse anche la moglie Lili oppure se si avventurasse da solo per i viottoli isolani, non sappiamo se poi l’artista sia sceso a Rio Elba a rifornirsi d’acqua alla famosa Fonte dei Canali o addirittura sceso a Rio Marina per osservare le celebri miniere di ferro che tanto avevano interessato Napoleone. Klee che redigeva precise cronache sui suoi taccuini non ci dettaglia la sua vacanza elbana. Oltre ad alcune immagini fotografiche citate e alla produzione artistica poca è la documentazione disponibile. Si trattava probabilmente di uno vero stacco mentale.
(Continua)
Antonello Marchese
Guida ambientale e turistica. Guida ufficiale del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Fotografo di Natura. Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile.