Non è la prima volta che da questo periodico e da altri si fanno appelli per la salvaguardia dei nostri “gioielli di famiglia”, ossia per quelle opere architettoniche di gran pregio di cui certo non difetta l’Isola d’Elba; eppure ogni parola, ogni considerazione, ogni raccomandazione pare scontrarsi con un muro di gomma. Proprio in questi giorni mi è capitato di (ri)vedere il bellissimo lavoro dell’architetta fiorentina, seppure di nascita catanese, Angela Mancuso, che proprio quattro anni fa, nel febbraio 2017, discusse presso la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze, la tesi “La Cappella Tonietti/Studi ed indagini per il restauro”, laureandosi con 110/110 e lode.
In questa ricerca, di gran pregio e ampio respiro, la dottoressa esordiva con un “Inquadramento geografico” e “Cenni storici sull’Isola d’Elba”, per concentrarsi poi sul ruolo della famiglia Tonietti, specialmente del Cavalier Giuseppe (Rio Marina 1834-1894), che, abbandonata la vita di mare, di tradizione familiare (il padre era il più importante armatore marittimo riese), nel 1888, ottenne la concessione dello sfruttamento delle miniere di Rio, trasformandosi da capitano di mare in capitano d’industria e accumulando, grazie alla sua lungimirante abilità, un’immensa fortuna.
La sua morte improvvisa nel 1894, a sessant’anni – cui seguirono funerali grandiosi e di larga partecipazione popolare, merito delle sue attività filantropiche – segnò l’inizio della parabola discendente della famiglia, dato che il figlio Ugo Ubaldo, piuttosto che impegnarsi nella gestione dell’ingente patrimonio, preferiva dedicarsi alle sue costose passioni: regate marine, ciclismo, alpinismo, caccia, automobilismo; fu così che finì in povertà, contraddicendo il suo stesso detto, attribuitogli dai cavesi, che “nemmeno buttando i soldi con una pala, avrebbe potuto finirli”. Pare che proprio la morte precoce del padre abbia ispirato nel “sor Ubaldo”, come lo chiamavano i paesani, l’idea di fargli costruire dall’architetto Adolfo Coppedè un monumento funebre sul monte Lentisco, proprio sopra Il Cavo, un luogo di straordinario valore paesaggistico, dove Giuseppe amava fare passeggiate e contemplare il mare aperto.
Alla famiglia di Mariano Coppedè, fondatore della Casa Artistica del mobile d’arte, sotto i loggiati della chiesa di Santa Croce a Firenze, e ai figli, Adolfo, Gino e Carlo Coppedè, tutti artisti, Angela Mancuso dedica un capitolo del suo studio, concentrandosi specialmente sulla figura di Adolfo, architetto, destinato a diventare il più importante dei membri della famiglia, con opere a Firenze, a Milano e a Genova (il Salone della Borsa); ma l’esordio della sua carriera il Coppedè lo ebbe proprio nella nostra Isola, grazie a Pilade del Buono, suo primo mecenate e committente, che se lo portò all’Elba, dove gli fece conoscere la ricca famiglia Tonietti e gli permise la realizzazione di impegnativi lavori, quali la Cappella Funeraria della famiglia Del Buono, nel Cimitero Monumentale di Portoferraio, la Casa Padronale di San Martino, il Palazzo dei Merli e il Palazzo per Uffici, sempre nel capoluogo. Ma “l’opera summa” di Adolfo, non solamente per l’Isola, ma in assoluto, è probabilmente la Cappella Tonietti, al Cavo, progettata e costruita tra la fine del secolo e i primi anni del nuovo.
E proprio perché Giuseppe era stato uomo di mare, il monumento funebre venne concepito come un faro, un immenso faro che si ergesse, fiero e superbo, sul crinale dei monti, proprio a metà della traversata Piombino – Portoferraio, visibilissimo dal canale anche per la macchia mediterranea allora più bassa dell’odierna, in una sorta di segnalazione ai naviganti di essere a metà del percorso e forse, chissà, di un “memento mori”, che è sempre bene non dimenticare nel viaggio ben più periglioso della vita.
Come si sa, il permesso a uso cimiteriale dell’ardita costruzione, una volta ultimata, non venne concesso e dunque mai vi furono traslati i resti del Cavalier Giuseppe né di nessun altro membro della famiglia, lasciando vuote le fosse per le sepolture al suo interno.
La Cappella dunque non svolse mai la funzione per la quale era stata pensata e rimase un’opera fine a se stessa, storicamente testimone del prestigio e della ricchezza dei Tonietti; ma, siccome è un’autentica opera d’arte, possiede un valore intrinseco che, nei suoi circa centoventi anni di vita, meritava di essere custodito e protetto.
Nella tesi della Mancuso, ad essa, alla sua storia e all’analisi minuziosa delle sue caratteristiche architettoniche, ornamentali, pittoriche e simboliche sono dedicate un centinaio di pagine, veramente preziose per comprendere il valore artistico del manufatto, trionfo dell’eclettismo del Coppedè, e quindi la gravità della sua attuale rovina, a cui non si è tentato in nessun modo, specialmente negli ultimi sessant’anni, di porre il benché minimo freno. La foto del 1963 a corredo del presente articolo testimonia l’integrità della bellissima cancellata, ora inesistente.
Leggendo le pagine della studiosa possiamo dolerci dello scarto tra l’originaria architettura e le condizioni di oggi, nonché degli atti di vandalismo compiuti: dalla sottrazione dei decori e dei materiali più vari, alle scritte sui muri, allo scempio delle pitture.
Ma possiamo anche immaginare la rinascita di quest’opera, utilizzando le ricerche dell’architetta Mancuso e del suo team: dal primo sopralluogo nel maggio 2016 alla campagna di rilievi in 3D Laser scanner; dalla restituzione del rilievo digitale alla fotogrammetria digitale per i prospetti e le sezioni interne. Oltre a una indagine sui materiali da costruzione (geo-materiali, mineralogiche, petrografiche sui campioni murari) e ai risultati.
Gli ultimi due capitoli approfondiscono lo studio del degrado e i metodi d’intervento, fino a proporre ipotesi progettuali non solo per il monumento ma anche per tutta l’area circostante, immaginata luogo di ristoro e di fruizione del bello.
Dunque, un lavoro attento e documentato, che potrebbe concretamente costituire la base progettuale di futuri interventi di restauro.
Ma qui arrivano le “dolenti note”: la Mancuso nelle sue pagine si rallegra che, nella primavera precedente (quindi il 2016), erano cominciate da parte della Sovrintendenza di Pisa e Livorno le pratiche per la tutela storico-paesaggistica del monumento a cui, lei dice, “seguirà l’obbligo del restauro”.
Sono passati cinque anni da allora e, per quanto ne so, nulla si è mosso.
E intanto la rovina del tempo e dell’inciviltà umana, favorita dall’ubicazione in un luogo isolato della Cappella Tonietti, continuano.
Vergognosamente.
Maria Gisella Catuogno da "Lo Scoglio" I° quadrimestre 2021
Questo il link per accedere alla tesi:
(32) (PDF) La Cappella Tonietti - Studi e Indagini per il Restauro | Angela Mancuso - Academia.edu