La Signora Marzia Ricci ci ha inviato un ritaglio tratto da un numero del Tirreno pubblicato l'8 Agosto 1945. Il pezzo narra le vicissitudini di un suo prozio marcianese, che combattè (e cadde) da partigiano, lontano dalla sua terra. E' un articolo che risente dei settantacinque anni trascorsi, soprattutto per il linguaggio paludato e la retorica di cui trasuda, ma è al tempo stesso un prezioso elemento di memoria storica, ed un riconoscimento del valore umano di un combattente per la libertà, che sarebbe opportuno ricordare costantemente anche ai piccoli cittadini in formazione, che passano nelle aule di una scuola dedicata a Giusto Bruno Lupi, l'eroe tranquillo che donò la sua giovane vita per un futuro (anche loro) migliore.
Il Tirreno 8 Agosto 1945
Episodi di vita partigiana
L'alba di un mattino grigio lo vide partire, insieme ad altri compagni, legati a lui da un comune destino. Fu una partenza triste per i genitori, non per lui che rincuorava i suoi ad aver fede, e sorrideva loro dal viso aperto, leale, con quei suoi occhi grandi, grigio-chiari, mostrando la magnifica chiostra di denti bianchissimi.
Aveva un animo mite di fanciulla, direi quasi in contrasto con la sua alta statura, coi muscoli potenti, col senso di vigore e di vita che emanava dalla sua persona. Tale era Giusto Bruno Lupi, l'eroe elbano che più non fece ritorno (in vita) alla sua terra. Di lui non si seppe più nulla. Era il tempo in cui l'Italia soggiaceva all'invasore tedesco; si disse che era stato inviato in Germania, poi un giorno apprendemmo che combatteva coi partigiani; poi, di nuovo nulla.
Il padre, la madre, i fratelli trepidavano per lui, nell'angoscia inenarrabile d'una attesa senza fine. Infine giunse la funerea notizia: morto. Ne davano monchi ragguagli, per lettera, un compagno di armi e la famiglia Zoppi, di Priero, in quel di Cuneo, dove egli amava soffermarsi e dove era tenuto al pari di un figlio.
Era capo-squadra e prese parte attiva alla dura battaglia della "Pedaggera" in località Langhe-Est (Cuneo), durata ben sei giorni, e vinta dai nostri, che inflissero dure perdite ai nazi-fascisti. In tale battaglia erano impegnate tre divisioni di fascisti repubblichini ed una motorizzata tedesca.
Di lui dice il suo comandante di compagnia in una intervista alla stampa:
"Egli sorrideva nei momenti in cui maggiormente infuriava la battaglia e, con la sua presenza di spirito, infondeva fiducia nei suoi uomini, promettendo sicura vittoria. Calmo, sereno e fermamente deciso nella lorra contro l'oppressore nazi-fascista, soleva ripetere che se anche l'avesse ghermito la morte, avrebbe accettato volentieri questo destino, sorretto dall'idea della Patria e della Libertà".
Un giorno il Comandante, che in lui riponeva cieca fiducia, lo inviò al paese, in missione.
Partì, armato di rivoltella e di una bomba a mano, che passò sotto la cintola. Lungo la strada del ritorno, ritrovò gli amici che lo sconsigliarono a risalire i monti, quando ormai calavano le ombre della sera, e quando sarebbe stato imprudente l'esporsi ai pericoli più gravi. Rifiutò di dar loro ascolto: egli vedeva il dovere del ritorno presso il suo comandante, nient'altro che il suo dovere.
Un numeroso reparto tedesco, in rastrellamento, lo scorse mentre confabulava con un suo amico, che riusci a porsi in salvo a tempo; Bruno invece, vistori ormai circondato, attese a pié fermo i teutonici inferociti. Fu condotto in un'osteria del paese di Priero; il capitano tedesco, che comandava i cosiddetti Cacciatori delle Alpi, imbastì - ubriaco fradicio - un simulacro di processo, qualcosa che pudicamente salvasse le apparenze legali dell'assassinio che stava per compiersi, Bruno intanto, con le braccia incrociate al petto, appoggiato al muro li guardava ad uno ad uno con aria di tranquillità e di sfida che sconcertava i suoi nemici. Finalmente gli sgherri avvinazzati decisero l'olocausto, ed egli condotto fuori della strada, con un colpo di mitra alla fronte venne abbattuto sulla polvere. Era la notte del 5 Aprile scorso.
Due ore erano trascorse, dalla cattura all'estremo sacrificio.
Immenso fu il cordoglio delle genti alpigiane, oneste e laboriose, e molte lagrime solcarono il rude volto dei montanari.
Una sottoscrizione popolare fruttò diverse migliaia di lire, con le quali venne allestita una cassa di legno, magnifica opera d'arte d'intaglio; e la salma, lacrimata da oltre seimila persone che l'accompagnarono, trovò pace nel cimitero di Priero.
Trasportata in questi giorni all'Elba, a mezzo di un autofurgone, la salma di Bruno Lupi, dopo le estreme onoranze, alle quali prese parte tutta la popolazione marcianese e dei paesi vicini, riposa ormai nel piccolo camposanto paesano, posto sul dorsale di un colle in faccia al mare, davanti a quel mare che molceva il rumore del vento e che egli da fanciullo sogguardava con occhi sognanti, quasi inseguendo una lontana visione di gloria.
Sia gloria sempiterna a lui.