La notte del 17 giugno 1944 alle ore 2:00 iniziarono le operazioni di sbarco presso la spiaggia di Marina di Campo da parte delle truppe coloniali francesi del CEF (Corps Expeditionnaire Francais), formate da marocchini, algerini, tunisini e senegalesi.
Non è nostra intenzione parlare dello sbarco, la storiografia ufficiale ha riempito pagine e pagine, basta andare su YOUTUBE per vedere i filmati dell’epoca.
L’intenzione, au contraire, è cercare di raccontare quello che non è stato detto in settant’anni di oblio, di colpevole silenzio, forse voluto, sugli episodi di violenza sessuale e fisica di massa effettuati soprattutto verso le donne dai soldati delle truppe coloniali africane francesi in Italia. Basato sulla relazione del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali di Roma prot. n. 67/16 R.P. (Riservato Personale) dd. 21 settembre 1944 a firma dal Generale di Corpo d’Armata Comandante Generale Taddeo Orlando, indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Interno, al Ministro degli Esteri, al Ministro della Guerra, etc…, sugli episodi di violenza, uccisioni, stupri, ruberie, saccheggi, razzie subiti dagli elbani in quel tragico periodo. Per salvarsi sono dovuti fuggire, abbandonando tutto, casa, terra, abiti, averi e rifugiarsi in montagna. Sono tornati 25 giorni dopo, quando le truppe francesi avevano lasciato l’isola.
Un racconto che può apparire “crudo”, non piacere, politicamente non corretto. Purtroppo, tutto vero, che fa parte della storia della nostra isola, dove, a mio parere, è arrivato il momento dello sdoganamento dalla sfera individuale, intima, personale e diventare patrimonio collettivo della comunità. Comprendo che a molti elbani possa non piacere ricordare pubblicamente questi crimini odiosi e sono sicuro che nessuno, nemmeno i giovani, lo hanno dimenticato. Penso che non si scrive per piacere ma per testimoniare, per essere al servizio della comunità.
A distanza di tempo, senza alcun revanscismo, appaiono lapalissiane le responsabilità degli ufficiali francesi per il laissez-faire, in quanto spettava a loro mantenere la disciplina delle truppe coloniali, così come al comando generale e, possiamo immaginare, che lo stesso De Gaulle non potesse non sapere. Vi erano stati i precedenti di Capizzi in Sicilia (luglio 1943), quelli del frusinate nel Lazio (maggio 1944). Tutti segnali che avrebbero dovuto mettere in guardia il comando francese, per far si che non si ripetessero all’Elba, invece, non fu preso alcun provvedimento. Cosa che fecero quando le stesse truppe che avevano liberato l’Elba, sbarcarono in Provenza nell’agosto 1944, nel sud della Francia, ancora sotto il controllo del Governo Vichy alleato con i tedeschi. In quella circostanza non si verificarono violenze né sessuali né fisiche sulle donne francesi, poiché gli ufficiali per prevenire quanto accaduto in Italia, avevano deciso di riportare la disciplina tra le truppe coloniali africane, passando per le armi i colpevoli di tali odiosi crimini come monito e avvertimento.
Le violenze all’Elba iniziano nel giugno 1944, con un episodio iconico avvenuto a Portolongone: una ragazzina adolescente mentre era in strada a festeggiare i soldati che aveva atteso con ansia per mesi per essere liberata, venne violentata. Andiamo con ordine.
Tutto comincia nel luglio 1943 in Sicilia per proseguire nel Lazio e terminare in Toscana nel luglio 1944.
Le violenze si verificarono quasi sempre, ma non solo, dopo le battaglie combattute dalle truppe coloniali francesi (per onor di cronaca soldati valorosi e coraggiosi, il 50% perse la vita durante la Campagna d’Italia), ed erano tollerate dagli ufficiali. Consideravano le donne bottino di guerra, le portavano via sghignazzando, in alcuni casi le madri e le figlie venivano violentate e poi subito passate per le armi.
Va detto che nella cultura maghebrina di quel tempo non solo la sodomia ma anche la pederastia e la zoofilia erano ampiamente accettate. L’antropologo delle religioni, psicanalista, filosofo, scrittore algerino, Malek Chebel scriveva: “l’itinerario copulatorio del giovane maghebrino campagnolo comincia spesso nei lombi delle bestie che è incaricato di accudire…”.
Le truppe coloniali africane francesi consideravano le donne italiane puttane. I soldati erano quasi tutti analfabeti, legati tra loro da legami di parentela e per mesi affinché non compissero violenze ai danni dei civili, era stato impedito perfino di uscire dai loro accampamenti che venivano sorvegliati a vista e recintati con filo spinato. Al comando vi erano ufficiali francesi “blanches pas noirs”.
Non vi sono prove scritte, la Francia secretò subito gli archivi militari, ma ci sarebbero testimonianze, forse solo una leggenda, del proclama del generale Juin, comandante del CEF, prima della battaglia della linea Gustav.
“Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, cose, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete.”
Quei terribili giorni sono ancora oggi ricordati nel frusinate. Migliaia di donne di ogni età, vennero stuprate. Furono sodomizzati numerosi uomini, intervenuti per salvare mogli, figlie, sorelle e madri. Molti poi assassinati tramite impalatura. Durante le violenze furono distrutte e saccheggiate case, sottratto bestiame, utensili, abiti, denaro. In un rapporto dei servizi segreti alleati di Napoli si parla che i goumiers aggrediscono le donne in due, uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza, e quando le donne non erano abbastanza per soddisfare tutti hanno violentato anche i bambini ed i vecchi. Diversi rapporti dei Carabinieri del frusinate segnalavano che i soldati coloniali francesi in preda a sfrenata esaltazione sessuale e sadica, violentarono donne, ragazze e bambine e, molte volte costrinsero con la forza i genitori ed i mariti ad assistere. In altri, si legge che gli ufficiali francesi non intervenivano per reprimere tali crimini, invece, hanno infierito contro la popolazione civile che cercava di opporsi.
Il film “La Ciociara” del 1960, diretto magistralmente da Vittorio De Sica (nativo della provincia di Frosinone) con una splendida Sofia Loren (che vinse l’Oscar come migliore attrice protagonista) nel ruolo di Cesira che subisce violenza con la figlia Rosetta, ancora bambina, ed ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia, scritto nel 1957, fu l’unica testimonianza di quel terribile periodo. La storiografia tacque così come la politica.
Infine, ma non per ultimo, parliamo di quanto avvenne all’Elba, dove tutto sembra essere stato dimenticato, mentre, sarebbe opportuno promuovere una giornata in memoria delle vittime, rendendo omaggio a tutte le donne di ogni età che subirono violenza, con una piazza, un monumento, una via, con momenti di raccoglimento, con il raccontare quanto avvenne, perché non possiamo non ricordare. La memoria cementa le radici di una comunità, senza memoria collettiva non siamo niente, senza memoria non c’è futuro. Perché non si ripeta mai più.
Concludo, riportando parzialmente il rapporto preciso, puntuale, lucido, esaustivo del Comandante Generale dei Carabinieri di cui ho accennato precedentemente.
“Il 17 giugno 1944, alle ore 2 circa, avevano inizio le operazioni militari per la liberazione dell’Elba, che superata la difesa, in alcune zone accanita, dei reparti tedeschi e repubblicani, veniva liberata il 19 successivo. Le operazioni furono compiute da una divisione di fanteria coloniale de gaullista… Trattavasi di truppe di colore (senegalesi e marocchini) inquadrate da ufficiali francesi, molti dei quali corsi. Terminate le operazioni, queste truppe si abbandonavano, verso la popolazione dell’isola, ad ogni sorta di eccessi, violentando, rapinando, derubando, depredando paesi e case coloniche, razziando bestiame, vino, ed uccidendo coloro che tentavano opporsi ai loro arbitri. Dettero l’impressione alla popolazione atterrita di voler sfogare un profondo sentimento di vendetta e di odio. Gli ufficiali assistevano indifferenti allo scempio, soliti rispondere a coloro che ne invocavano l’intervento: “E’ la guerra… sono dei selvaggi… non c’è nulla da fare… questo è nulla in confronto a ciò che hanno fatto gli italiani in Corsica”. I più accaniti si dimostrarono i corsi. Nella popolazione – che aveva atteso con ansia, durante lunghi mesi di persecuzione tedesca, il momento della liberazione – corse un’ondata di indignazione. Abbandonata, si ritirò, dalle case, sulle montagne e attese il ritorno della normalità, che si ebbe solo con la partenza di questi reparti, avvenuta 25 giorni dopo…”.
Nel rapporto si parla di diverse centinaia di stupri, di tentate violenze su donne e una su bambino, uccisioni di uomini che cercavano di impedire violenze su mogli, figlie, sorelle, madri, di rapine e furti per milioni di lire, razzie di bestiami, decine di migliaia di litri di vino asportati, di Sottufficiali e Carabinieri percossi e derubati di orologio e portafogli, di caserme saccheggiate e devastate.
La storiografia ufficiale ed i partiti politici hanno taciuto, come altre, troppe volte. Tutto è stato volutamente posto nel dimenticatoio, insabbiato, minimizzato, derubricato a marginali vicende locali ad inevitabili danni collaterali di guerra. Forse per espliciti motivi di convenienza politica. La situazione dell’Europa durante la Guerra fredda e quella interna dell’Italia. Inoltre non sarebbe stato gradito a Parigi, che l’Italia tirasse fuori dai cassetti quelle violenze di massa. La Francia era una delle quatto potenze che avevano vinto la Seconda Guerra mondiale. Noi eravamo gli sconfitti. La storia la scrivono i vincitori. Ora a distanza di tempo è arrivato il momento di ricordare.
Enzo Sossi