I più anziani forse ricordano una battuta che girava all'Elba un bel po' di anni fa. Siamo negli anni '50, l'alba del turismo all'isola. Un tizio arriva sulla piazza di un paese collinare (scegliete voi il preferito) e incontra il sempliciotto del villaggio. “Gino, a Feraia so' sbarcati i turisti!”, gli dice. E Gino replica: “O portamene du' etti, vedemo un po' come so'!”. La battuta è carina, ma in quegli anni il senso degli elbani per i turisti è più affaristico che ingenuo.
Gli anni '50 sono per l'Italia quelli definiti del boom economico. E anche per gran parte dell'Europa occidentale rappresentano la grande ripartenza economica, con altri tre paesi (Germania, Francia e Regno Unito) che rioccupano la posizione di potenze industriali mondiali. Inizia un benessere sempre più generalizzato, che stavolta ricade a cascata anche su gran parte delle classi lavoratrici. La forbice tra le classi sociali si riduce: basti pensare che Vittorio Valletta, amministratore della più importante industria italiana, la Fiat, guadagna “solo” 12 volte più dello stipendio di un suo operaio.
In progresso di tempo anche i lavoratori possono permettersi beni in passato considerati di lusso: possono comprarsi una piccola auto, e gli elettrodomestici iniziano a entrare nelle case di molti. E tra i beni ci sono anche quelli immateriali, primo fra tutti le vacanze. Un operaio di Mirafiori, di Sesto San Giovanni o Sesto Fiorentino, può pensare a un paio di settimane al mare, alla chiusura agostana delle fabbriche. Ovviamente in pensioni economiche. Ma con la possibilità di cenare talvolta in qualche trattoria, altrettanto economica.
All'Elba, negli anni '50, le chiacchiere stanno ormai a zero: tutti sono persuasi che il turismo è la strada maestra economica per l'isola. Basti pensare che nel 1947 sull'isola c'erano 5 alberghi per 206 posti letto; nel 1952 erano cresciuti a 15, con 476 posti letto; lievitati, nel 1972, a 173 e 8.505 posti letto. I turisti passarono dai 204.591 del 1952 ai 1.248.911 di vent'anni dopo. Comprensibilmente il presidente dell'Eve (Ente valorizzazione Elba) Mario Palmieri poteva scrivere nel marzo del 1973: “Si tratta di un vero e proprio “boom” che ha pochi eguali in Italia e che è continuato, senza alcuna flessione, anche in periodi di difficili congiunture nazionali ed estere e che trova conferma nel sempre maggiore interesse della clientela turistica, con un continuo allungamento dei mercati, non solo italiani, ma anche europei ed in particolare tedeschi”.
Ma non sono solo imprenditori locali e del continente, spesso società create ad hoc, a costruire strutture alberghiere, talvolta con un impatto ambientale discutibile. C'è anche tutto un sottobosco, di cui spesso tendiamo a parlare poco. Per capirlo bisogna partire da lontano. Per ragioni storiche (che meriterebbero una trattazione, troppo lunga in questa sede) il patrimonio fondiario elbano è estremamente frazionato: guardare una mappa catastale dell'isola è come vedere un mosaico di piccole tessere: particelle anche di poche decine di metri quadrati. Infatti da secoli quasi tutti gli elbani, anche quelli di condizioni economiche modestissime, possiedono un terreno, spesso semplicemente un orto o un piccolo vigneto.
Negli anni '50 l'agricoltura elbana, anche quella privata, era entrata in una profonda crisi. I terreni coltivati finivano sempre più all'abbandono. Se dal punto di vista agricolo non valevano più niente, da quello immobiliare diventarono una risorsa: molti di essi infatti si affacciavano su tratti spettacolari di costa o in meravigliosi punti panoramici. E per questo apprezzatissimi dalla borghesia, non solo italiana, che vedeva la possibilità di costruirci la villa estiva, comprandoli per cifre irrisorie. Gin Racheli, una delle più acute osservatrici dell'Elba, definirà efficacemente questo fenomeno “una specie di cupio dissolvi del benessere promesso dal turismo”.
Dagli anni '60 inizia a cambiare qualcosa. Molti elbani si rendono conto che quei bei terreni terrazzati è meglio tenerli piuttosto che venderli per una miseria. E soprattutto che è molto meglio salire sul lussuoso treno del turismo. Inizia una corsa all'edificazione di piccole strutture turistiche (a Capoliveri le chiamano gli “appaltamenti”), spesso tirate su alla buona e con fatica dagli stessi proprietari. I primi assaggi di ricchezza hanno di buono che le modeste strutture ricettive sono economiche, così come nelle trattorie elbane si può mangiare per poche lire. Questo significa che anche per gli operai di cui sopra l'Elba è una meta accessibile per le loro risorse. L'isola quindi si inserisce benissimo nell'ottica del nascente turismo di massa.
Iniziano a girare i soldi degli affitti, e molti elbani iniziano ad assaporare la vita borghese. Ma questo ha un costo enorme e irrimediabile. L'edificazione è selvaggia, caotica, irrispettosa del paesaggio. E molto spesso fuorilegge. Ce ne accorgeremo, con finto stupore, negli anni '80, con la prima sanatoria edilizia, che in alcuni comuni, come Capoliveri, mostrerà un volume pauroso di costruzioni abusive.
Inoltre la lievitazione edilizia comporta un enorme impiego di materiali a bassissimo costo, come la rena. E questa viene saccheggiata da molte spiagge, essendo praticamente gratis e di facile asportazione. Cosa che comporta l'irrimediabile distruzione di paesaggi dunali unici, con specie vegetali di inestimabile valore e una biodiversità di assoluto rilievo. Il consumo del suolo diventa impattante, con nuclei abitativi e turistici stagionali che nascono dietro spiagge, occupando interamente i fondovalle di fossi alluvionali, comportando spesso rischi idrogeologici. Nel giro di due/tre decenni circa un quarto dei 144 chilometri costieri dell'isola sono intaccati da forme più o meno impattanti di costruzioni.
Questo sottobosco ricettivo, inoltre, rappresenta un autentico mercato turistico parallelo. Quindi una grossa fetta di rendita in nero. Dobbiamo dircelo con molta franchezza, anche se è urticante: molta della ricchezza degli elbani nasce in modo poco rispettoso delle leggi. Certo, va detto che da quella prima sbornia turistica, negli anni è andata crescendo la consapevolezza di una salvaguardia dell'ambiente e di un mercato sempre più in regola. Ma sarebbe un bel guaio pensare frettolosamente e semplicisticamente che sia una fase ormai finita.
L'importanza di questo “turismo dal basso” va sempre più crescendo negli anni. Basti pensare che nel 1954 le presenze in alberghi e residences erano 44.591 contro le 14.447 in affittacamere e campeggi. Nel 1969 il rapporto è ormai pareggiato (forse addirittura superato, considerando gli affitti in nero di cui sopra): si passa rispettivamente a 413.158 e 499.750. Per poi stabilizzarsi: nel 1983 si arriva a 1.116.827 contro 1.250.183.
Mi piace terminare questo capitolo con la lucida analisi della stessa Gin Racheli (“Le isole del ferro”, Milano, 1987, pag. 150), che ci traghetta verso gli anni '70-'80, che vedremo nel prossimo: “Negli anni Cinquanta-Sessanta, fu di moda chiamare 'vocazione' degli isolani il turismo, che vocazione non era affatto, ma semmai era dura necessità per sopperire alla morte delle vocazioni vere. Allora si riversarono sull'intero arcipelago le provvidenze statali della Cassa per il Mezzogiorno che, oltre alle strade e ai moli, finanziarono anche alcune grandi strutture alberghiere: queste fallirono successivamente tutte per un'organica crisi di rigetto che rifiuta dimensioni incompatibili con quelle del mondo che le ospita. Anche il proliferare scomposto e privo di cultura di base, di case, villette, piccoli hotels non fu senza danno, e comuni come Marina di Campo dovettero scontare la loro frenesia costruttiva con l'imbottigliamento e quasi il soffocamento del paese e delle sue attività, la mortificazione grave dell'agricoltura, la perdita del quieto vivere. Ci fu inoltre la corsa alla vendita della propria casa o del terreno e ciò produsse, ad esempio, lo spegnimento pressoché totale della comunità, già ammalata d'altri mali, del piccolo comune di Rio nell'Elba. La privatizzazione di spiagge e cale colpì principalmente i comuni di Rio nell'Elba, Rio Marina, Capoliveri, Portoferraio”.
Andrea Galassi