Siamo accomunati dalla ricerca di ciò che può rendere bella/felice la nostra esistenza. Proprio come l'uomo (tra l'altro osservante della legge religiosa) del vangelo di oggi. Ognuno cerca strade da percorrere, generalmente guardando altri, ammirando modelli. Spesso non siamo noi a scegliere veramente, perché condizionati da eventi e situazioni. E poi, l'esito delle scelte personali non è mai garantito al cento per cento. E' la fatica e il rischio del libero arbitrio, realtà propriamente umana. Le libere scelte possono portare a riuscita o a fallimento della vita. Questa libertà, quindi, rende l'uomo responsabile delle sue azioni, in quanto volontarie. E' vero anche che la responsabilità di un'azione può essere diminuita o annullata dall'ignoranza, dalla disattenzione, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti disordinati e da altri fattori psichici o sociali. Allora è importante crescere nella conoscenza e rafforzare la volontà, perché siano alleate di quella libertà responsabile che permette a ciascuno e a tutti di vivere più autenticamente, cioè più umanamente.
Cosa bisogna riscoprire nel nostro tempo, per poter avere qui e ora, e per sempre, il “tesoro” (e il “centuplo”) di cui parla Gesù?
Anche se il mondo di ieri non c'è più e siamo in una società plurale, sono molti i punti di contatto fra tradizioni religiose e umanistiche diverse. C'è convergenza, per esempio, sul fatto che l'attaccamento alle ricchezze sia un elemento da superare. Per evitare classificazioni puramente sociologiche (ricco/povero), seppure importanti, dobbiamo pensare che ricchezza è ciò a cui si attacca il centro dell'essere, ciò che mettiamo al primo posto nella nostra vita. Ricchezza come idolo che si impossessa della tua vita. Possono essere beni, ideologie, appartenenze esclusive oppure il proprio io. Quell'io che Gesù dice di dover rinnegare per poterlo seguire nel cammino di libertà.
Su questo piano, ognuno di noi, io per primo, sa che il cammino della libertà non è facile. Occorre – come indicano le vie religiose ma anche alcune filosofie (e non solo quella stoica) – esercitarsi nel distacco, per ritrovare il proprio vero sé, differente dall'io condizionato e costruito.
Il poeta e mistico tedesco del Seicento, Angelo Silesius affermava: “Uomo, sarai trasformato in ciò che ami, sarai Dio, se ami Dio, e sarai terra, se ami la terra”.
Nel nostro tempo si assiste ad una “certa” riscoperta della cura dell'interiorità. Questa non significa fuga dal mondo, ma discesa/salita alla fonte dell'essere, di ciò che è alla base dell'agire. In questa dimensione, profonda e silenziosa, ci si distanzia dall'io deteriore e cresce la consapevolezza di sé, di comune appartenenza all'umanità e alla natura, di un legame che ci costituisce. E' un'esperienza che è anche indicata come “stare nel Dio che è in noi”.
Questa via di sapienza è aperta a tutti: richiede disponibilità a rinunciare – gradualmente – all'attaccamento possessivo in nome di questo tesoro. E richiede, secondo le tradizioni spirituali, fiducia nell'Assoluto (“perché tutto è possibile a Dio”, conclude Gesù). Da questa sapienza scaturisce una vita semplice (unificata e non frammentaria) e sobria (libertà di spirito di fronte ai beni e alle persone), caratterizzata dalla cura (amore, condivisione) di sé, degli altri e del mondo.
(10 ottobre 2021 – domenica 28 ordinario)
PS - “Le persone sono di due tipi: o sono tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità” (papa Francesco all'incontro con i rappresentanti delle tradizioni religiose a Roma 7 ottobre 2021).
Nunzio Marotti
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