Voglio subito sgombrare il campo da possibili equivoci: la tecnologia mi piace, mi interessa e cerco di servirmene al meglio delle mie competenze. Per questo motivo, complimenti vivissimi agli studenti della Scuola di Piombino capaci di costruire il portentoso robottino. Bravi!
C’è, però, qualcosa che non torna nella fase di impostazione dell’evento, qualcosa che lascia un senso di inopportunità e di disagio.
Ora, la “toppa” citata giorni fa dal Direttore di questo giornale, ha potuto tardivamente sanare lo sgarbo istituzionale compiuto verso il Comune di Portoferraio e gli altri dell'Isola (e bene ha fatto il Sindaco Zini ad accettare la ricomposizione). Resta, però, il fatto che dal Sindaco di Piombino, Città Medaglia d’Oro per la Guerra di Liberazione, ci si aspetterebbe una maggiore sensibilità storica e una più ampia considerazione per la catena di luttuosi eventi che unisce l’insurrezione di Piombino contro i tedeschi (10 settembre), il bombardamento tedesco di Portoferraio (16) e l’affondamento dello Sgarallino (22), evento, quest’ultimo, ancora vivo nel ricordo dei figli delle vittime e nella memoria popolare.
L’esplorazione con il rover del relitto di una nave non equivale a riprese subacquee di una scogliera sommersa o di un atollo corallino.
Lì dentro - proprio nelle "stive" del piroscafo, da "indagare" col robottino, come annucia la locandina di lancio dell'impresa, sono morte moltissime persone (il mare restituì "solo" una cinquantina delle vittime) e quel relitto è, di fatto se non di nome, un cimitero di guerra. In alcuni casi, a seguito del rinvenimento di navi perdute a seguito di eventi bellici (non importa se civili o militari e a prescindere dal recupero o meno dei resti umani) si è provveduto a classificare i relitti come veri e propri cimiteri di guerra, ai quali è dovuto rispetto. E’ questo il caso del sommergibile Scirè e dell’incrociatore inglese Edinburgh.
Immagino che nella scuola piombinese l’evento sia stato preparato e introdotto da lezioni di approfondimento, in generale su quel periodo storico, in particolare su quell’evento. Spero anche che questi approfondimenti si estendano anche alle scuole elbane pari grado e che questa possa essere l’occasione per rafforzare i momenti di confronto e di dialogo tra giovani.
La scuola dimostra tutti i giorni di saper formare i cittadini consapevoli oltre che tecnici competenti. Lo studio della storia può servire proprio a questo: a renderla pubblica, condivisa, partecipata. A farne strumento di osservazione di un periodo che può essere ristudiato ma non “revisionato” o, peggio, “negato”. La storia è anche strumento di mediazione culturale e di composizione dei conflitti del nostro tempo. La storia non è, però, un cadavere sul quale condurre esperimenti né un episodio da occhieggiare con strumenti più o meno sofisticati.
Di tutto abbiamo bisogno, sull’una e sull’altra sponda del Canale, fuorché di un approccio superficiale al tema.
Franco Cambi
Università di Siena