Al di là dell'errore di identificazione, è sacrosanta l'attenzione che Elbareport ha posto sul restauro e la valorizzazione dell'ex polveriera di Forte Falcone. Per una ragione semplicissima: per quanto l'edificio, insieme al vicino gemello, sia trattato en passant in guide e testi storici, e praticamente snobbato da tutti, costituisce in realtà un elemento di primaria importanza della piazzaforte di Portoferraio, per nulla secondario ai forti e i bastioni difensivi, o altri edifici storici del centro.
A sottolineare l'importanza delle due polveriere è Amelio Fara, nel suo pregevole “Portoferraio Architettura e urbanistica 1548-1877” (Torino, 1997). Scrive lo studioso (pagg. 37-38): “Per l'edificazione dei magazzini a polvere viene adottata la struttura che aveva ideato Sebastien le Preste de Vauban con il passaggio da una copertura a curvatura gotica, che aveva i piedritti eccessivamente caricati, a una a tutto sesto, che si è rivelata di grande resistenza alle bombe, come è stato dimostrato in vari assedi”. I nostri edifici dunque sono, per l'epoca, di concezione moderna, dovuti alle idee innovatrici di Vauban, ovvero il massimo esponente dell'ingegneria militare a cavallo di Sei e Settecento. Alcune sue teorie rimasero in vigore addirittura fino alla seconda guerra mondiale. Basti pensare che qualche opera difensiva da lui progettata è oggi patrimonio mondiale dell'umanità.
Le due polveriere sono distanti circa 80 metri l'una dall'altra, una ai piedi del forte Falcone, l'altra a sud-ovest. Furono realizzate negli anni quaranta del 1700. Infatti il progetto fa parte di quell'ampio quadro di riadattamento difensivo, che interessò Portoferraio in epoca lorenese, illustrato in una relazione del 1744, oggi conservata nell'Archivio di stato di Firenze. A questo carteggio ha dedicato un eccellente studio Rino Manetti, pubblicato col titolo di “Portoferraio 1744 Adeguamenti alle fortificazioni del periodo lorenese” (Firenze, 1996).
Alle due polveriere è dedicato il capitolo 30: “Costruzione di due magazzini per la polvere da realizzare a valle del forte Falcone dalla parte della città”, a cui Manetti dedica le pagine 120-123 del suo libro.
La relazione stima in 11 mesi e 8 giorni la durata dei lavori, con l'impiego di 50 operai, e un costo di 22.262 lire. Il progetto (unico, essendo i due edifici gemelli, riportato in Fara, op. cit., tav. 214) fu stilato nello stesso 1744, precisamente il 1° novembre, e molto probabilmente i lavori partirono quasi subito. Sicuramente la polveriera dietro il fronte bastionato era terminata nel novembre 1747, come si evince da una planimetria del periodo (riportata da Giuseppe Massimo Battaglini, in “Cosmopolis”, Roma, 1978, pag. 161, tav. 94). In ogni caso nel 1749 sono presenti entrambi in una pianta di Andrea Dolcini.
Nel documento del 1744 si legge che si intendeva “farsene per ora due di essi”, facendo sospettare che in futuro fosse presa in considerazione l'ipotesi di costruirne altri. Cosa non avvenuta, forse perché due si dimostrarono sufficienti. La relazione specifica inoltre una cosa interessante: prima della costruzione dei due edifici non esistevano nella piazzaforte vere e proprie polveriere, “infatti attualmente tutta la Polvere viene tenuta in Magazzini a tetto coperti all'ordinaria”.
I due edifici hanno pianta rettangolare di 23X15 metri, e come detto sono identici. Presentano un tetto a capanna con falda a forte inclinazione, in modo da offrire una minore superficie di impatto ai proiettili, quasi scivolassero via dal tetto. Inoltre il soffitto interno era voltato a botte, detto appunto a prova di bomba, in seguito separato da solaio di legno. Scrive Fara (pag. 38): “La copertura interna è costituita da quattro volte di mattoni l'una sull'altra. Sopra l'estradosso dell'ultima volta si trova uno spessore di otto piedi in corrispondenza della chiave, per cui l'angolo delle falde del tetto risulta superiore all'angolo retto”. Esisteva dunque una massiccia copertura muraria tra il tetto e la volta del soffitto, la cui massa si scaricava sulle pareti laterali lunghe. Queste si presentavano altrettanto massicce, rafforzate da quattro contrafforti per lato, come si evince dal progetto delle polveriere. Nell'intervallo dei contrafforti, scrive ancora Fara, “vi sono canali di aerazione con un dado intermedio, per evitare che qualcuno possa gettare artifici di fuoco dentro il magazzino al fine di farlo saltare”. Lo spessore delle mura, ben otto piedi (poco meno di due metri e mezzo), avrebbe offerto enorme resistenza sia ai colpi esterni, provocati dai bombardamenti, sia a una disgraziata esplosione interna delle polveri.
Gli edifici non avevano aperture se non quelle indispensabili: una porta a struttura doppia, con apertura l'una verso l'esterno l'altra verso l'interno, posta su un lato corto e sormontata da una finestra. Un'altra finestra era sul lato opposto, entrambe a grande altezza. Il pavimento era ad assi di legno di quercia, rialzato sopra strati di carbone o pietrame interposti.
Nel 1874 vennero realizzati dei lavori di miglioramento. Dalla relazione di un certo Leoni, del 1877 (riportata da Fara, op. cit., pag. 83) sappiamo che solo una polveriera era utilizzata, occupata “da 1312 recipienti, i quali contengono in complesso 65600 kilog. di polvere”.
Un capitolo a parte lo meritano i parafulmini, ovvero i caratteristici piloni in cemento, disposti ai quattro angoli degli edifici. Non furono costruiti negli stessi anni: infatti in un prospetto del 1763 le due polveriere ne risultano sprovviste.
I piloni sono i basamenti dei parafulmini metallici, posti sulle sommità e oggi scomparsi. Lungo essi correvano i cavi di ferro galvanizzato, che dovevano scaricare l'eventuale folgore in un pozzetto a terra, a distanza di sicurezza dalla camera delle polveri.
Purtroppo non ho trovato documenti che attestino la loro costruzione, e molto spesso i disegni dell'epoca sono planimetrie, che difficilmente permettono la rilevazione di elementi verticali dalla superficie così piccola. Tuttavia dai disegni della città dei primi anni dell'Ottocento sembrano ancora assenti.
È però interessante un progetto di miglioramento dell'area del Falcone, realizzato nel 1812 dal capitano del genio francese Leonardo Garin (riportato in Fara, op. cit. tav. 258). Si tratta anche in questo caso di una planimetria, dove però tra le strutture da realizzare si notano dei quadratini agli angoli delle polveriere: che si tratti proprio dei parafulmini? In questo caso potrebbero essere stati costruiti negli anni 1812-14.
Con la dismissione militare le polveriere sono state destinate ad altri usi, anche con ristrutturazioni discutibili: per esempio la stanza addossata all'edificio poi diventato sede di Tele Elba. Una superfetazione che a mio parere andrebbe demolita per riportare la polveriera alle linee originarie. Mi associo quindi all'appello di Elbareport per una migliore valorizzazione di questi gioielli architettonici e a un loro più corretto uso. Rimane quindi valida la nota che Manetti (op. cit. pag. 121) scriveva 25 anni fa: “Da quanto esposto è evidente che si tratta di edifici interessanti, sia nel loro aspetto formale che nel loro significato storico, e pertanto meritano di essere tuteati anche in vista di un loro recupero per utilizzazioni culturamente più appropriate di quelle attuali”.
Andrea Galassi