Il domicilio coatto fu introdotto nella legislazione italiana nel 1863, con la famigerata legge Pica, pensata soprattutto come misura contro la cosiddetta lotta al brigantaggio. Questa prima forma di confino fu infatti applicata contro chi aveva partecipato alle rivolte del Mezzogiorno, senza però essersi macchiato di reati gravi. Furono scelte come luogo di confino soprattutto le isole: all'Elba molti domiciliati coatti finirono soprattutto nel versante orientale, proprio per essere impiegati nelle miniere. Alcune strutture, come il Dormentorio e il Bagno, a Rio Albano, furono costruite per dar loro un tetto. Sul finire dell'Ottocento si affiancheranno ai confinati per “reati comuni” quelli di matrice ideologica, soprattutto perseguitati anarchici. E anche in questo caso, come vedremo, occorrerà fare una distinzione.
Partiamo però prima dalla distinzione tra carcerati e domiciliati coatti. Perché mentre i detenuti non venivano praticamente mai in contatto con i cavatori liberi, essendo la loro vita un binomio tra penitenziario e cava, i confinati vivevano una sorta di libertà vigilata. I loro spostamenti erano molto limitati, ma relativamente liberi nei paesi, quindi a contatto con la società elbana. Questo significa che se il risentimento per i carcerati non poteva essere direttamente rivolto agli interessati, quello per i domiciliati coatti lo era eccome, provocando tensioni gravissime nei centri.
Deflagravano così le più classiche delle guerre tra poveri. Il processo cognitivo che le animava è quello classico, che conosceremo anche in anni a noi più vicini. L'operaio elbano medio pensava dei domiciliati coatti: “ci rubano il lavoro”; i domiciliati coatti pensavano degli elbani: “questi razzisti ci disprezzano ed emarginano”. Ovvero ci troviamo di fronte a quella reazione provocata (involontariamente, in questo caso, ma non meno colpevolmente) da un potere politico/economico, pagata però sulla pelle degli ultimi.
Un'altra distinzione tra carcerati e domiciliati coatti è che se i primi erano irrimediabilmente senza voce, tra i secondi si trovavano persone di cultura sufficiente per proclamare il loro dramma. È significativa una testimonianza raccolta dal giornale L'Elba, nel 1874: “Circa le ore 4 e mezzo del giorno 10 ottobre un manuale muratore veneziano, non domiciliato coatto, addetto ai lavori di muratore alla miniera di Rio Marina, ebbe a verificare poca esattezza nella contabilità amministrativa a suo riguardo, il medesimo trovandosi nel pieno diritto di essere pagato totalmente e non ammettendo frode alcuna a suo carico, si credé in dovere di fare i debiti reclami. […] La mattina di Domenica 11 corrente, il suddetto veneziano, mentre si trovava nella pubblica piazza di Rio, fu chiamato da un tale di Rio; e dimandatogli quale fosse stata la causa del diverbio avvenuto il giorno prima col Caporale predetto e sentendo che fu per il solo motivo di chiedere quanto si era, colla propria fatica, guadagnato, fu da questo tale santamente bastonato, e fortunato si tenne a sufficienza dandosi a precipitosa fuga, se non volea che il proprio male fosse maggiore, stante il soccorso che i Riesi affollandosi recavano al proprio concittadino. Quali ne furono le conseguenze? Le conseguenze furono le espulsioni in massa di tutti i domiciliati coatti, addetti ai lavori suddetti di muramento, non valendo neppure a loro giustificazione, presso quella Direzione, certificati del loro assistente Maggi, persona degnissima di fede, comprovanti la loro neutralità in detta questione. Lo scrivente [Pietro Galapi, un muratore domiciliato coatto] fa osservare a coloro che hanno la missione di sorvegliare i lavoranti, a coloro che hanno per debito di tutelare gli interessi delle Regie Miniere di Rio Marina, ad esser severi sì! ma più coscenziosi e più umani verso coloro che soffrono, e che tutti non sono camorristi e né malviventi, ma bensì onesti sotto tutti i rapporti, e che non hanno altro delitto da rimproverarsi, che quello di amare la Patria e la Libertà”.
La distinzione tra le diverse componenti dei domiciliati coatti è evidente sotto un certo aspetto. Per quanto anche la presenza più o meno forzata dei perseguitati politici creasse malumore, si nota che in diversi casi essi riuscirono a integrarsi meglio nella società isolana. Spesso anzi rappresentavano un fattore positivo per la presa di coscienza di classe. Molti di essi infatti erano persone di buona preparazione politica e organizzativa, che arricchivano l'ambiente operaio elbano, in larga parte di scarsa cultura e con una confusa coscienza politica, spesso più frutto di interessi campanilistici che ideologici. Per esempio abbiamo i casi del socialista empolese Raffaele Busoni e dell'anarchico livornese Alfredo Marmeggi.
Il primo era un calzolaio e corrispondente del settimanale socialista Vita nuova. Contribuirà a fondare la sezione socialista di Rio Marina, la prima all'isola e quella meglio strutturata e numerosa. I socialisti riomarinesi avranno per anni un peso enorme nella sinistra elbana, spesso assumendo posizioni di contrasto, che creeranno profonde lacerazioni nell'area socialista isolana.
Il secondo è così descritto da Ezio Luperini: “un giovane sui trent'anni, nativo dell'Ardenza, presso Livorno, di media statura, snello, con un viso aperto e simpatico, che una grave malattia agli occhi non era riuscita ad oscurare”. Era stato assunto come falegname alla miniera di Calamita, dopo aver trascorso un periodo di domicilio coatto alle Tremiti, in seguito alla repressione crispina, e allontanato da Livorno perché ritenuto temibile agitatore. A Capoliveri Marmeggi si mise subito in luce, diventando segretario della lega operaia, a cui aderirono l'80% dei cavatori capoliveresi, e organizzando lo sciopero dell'aprile 1905.
Andrea Galassi