Con l’ultimo agile volumetto edito da il Frangente, Gianfranco Vanagolli conferma ammirevoli qualità di storico della marineria raccontandoci, attraverso diciannove intense storie, epopee o episodi sconosciuti accaduti nel Mediterraneo e negli oceani, che abbracciano l’arco temporale dal 1814, con il racconto del naufragio del brick l’Incostant, all’Isola d’Ela, sotto lo sguardo attonito di Napoleone, fino al 1956, con le avventure cinesi della turbonave Pina Onorato.
Nel mezzo, natanti di ogni tipo: la feluca napoletana Sant’Anna, il cutter Pietro, i dodici bragozzi e una tartana ottenuti da Garibaldi in fuga verso Venezia, dopo la caduta della Repubblica Romana – e l’eroe, che riemerge dal mare dopo aver assicurato l’ancora, appare al testimone di turno bello come un Dio marino, col petto quasi tutto fuori dall’onde –, il brick schooner Cherubino, il bark Marietta, la pirocorvetta Magenta, i brigantini Tommaso e Paolina, la goletta Clementina, i velieri Nemesi e Italia, il piroscafo Washington, affondato davanti alla costa del mio paese, a pochi mesi dalla fine della Grande Guerra, e il piroscafo Nina che vive un difficile 8 settembre, il cargo Sumatra, il sommergibile Anfitrite e la XMas, il transatlantico Andrea Doria, vanto della flotta italiana di linea, con i suoi 1700 passeggeri a bordo e l’eroismo di Piero Calamai, che vorrebbe affondare con lei.
Un affresco vivido, vario, costruito con il rigore dello storico, che non trascura mai le fonti – in particolare le memorie e i diari di bordo – e le conoscenze tecniche dell’esperto di mare, offrendo al pubblico meno preparato sull’argomento un ricco glossario di termini ad hoc cui ricorrere.
Le storie diventano così un distillato di narrazioni, prive di qualsiasi retorica, in cui i fatti parlano da soli e dalle quali emerge anzitutto la durezza della vita di mare, la fatica impari del confronto con gli elementi della natura, quando si scatenano, l’accettazione fatalistica della lontananza da casa, dalla famiglia, dalle comodità domestiche; in tempo di guerra poi i pericoli si moltiplicano, la precarietà diventa compagna inseparabile e l’imprevisto domina sovrano.
Ai profani sfugge talvolta o spesso la fittissima rete degli scambi commerciali e culturali che la navigazione marittima ha garantito all’umanità da quando esiste, quindi fin dalla notte dei tempi; o l’importanza di piccoli luoghi, come, sull’Isola d’Elba, Rio Marina, il paese dell’autore, che vantava una marineria di tutto rispetto, i cui bastimenti e padroni marittimi “strusciavano l’oceano” come dicevano i nostri vecchi. Così come colpisce, nelle Storie di cui parliamo, la gran quantità di merci spostate da un porto all’altro: cemento, sale, ferro, legname di pregio, tavole di pitch pine, cibi conservati, manufatti industriali, tessuti sintetici, cotone in balle, tappeti...
E impressiona, uno fra tanti, il destino dell’Italia nella rotta da Anversa a Seattle, con l’attraversamento di Capo Horn e il naufragio sulle secche dell’Iquique, con l’imponente velatura semisommersa e il triste pellegrinaggio dei naufraghi che “trascorsa la notte in un’insenatura, tornarono sul relitto il giorno successivo, traendone solo pochi strumenti, carte nautiche e qualche bandiera”. Sorte certamente migliore, comunque, di quella dei dimenticati del Phuket, durante la seconda guerra mondiale…
Insomma, un lavoro certosino ed encomiabile quello del Vanagolli per far emergere dalle nebbie dell’oblio e della colpevole trascuratezza vicende drammatiche o fortunate che hanno avuto per fondale il mare e per attori mozzi, marinai e capitani, creature che immaginiamo, come il Poeta, abitati dallo struggimento e dalla nostalgia nell’ora che volge il disio.
Maria Gisella Catuogno