La chiusura delle miniere ebbe ben altro impatto sui centri riesi. A differenza di Capoliveri e Porto Azzurro, sebbene a pochi chilometri di distanza, questa parte dell'Elba era in forte ritardo turistico. A parte marginalmente Cavo, Bagnaia e Nisportino, dove una certa evoluzione ricettiva c'era stata, ma non poteva certo compensare l'economia generale di due comuni di quasi 4000 abitanti complessivi. La fine di un'attività millenaria, che aveva scandito tutte le fasi economiche e sociali dei riesi, creava un serio problema.
Partiamo da una panoramica storica. Dall'epoca pisana agli inizi dell'Ottocento i paesi più importanti dell'isola dal punto di vista economico (e in alcune fasi anche politico-amministrativo) furono Rio e (fino alla sua scomparsa) Grassera, proprio grazie alle miniere. Agli inizi dell'Ottocento il baricentro produttivo si era spostato di pochi chilometri, a Rio Marina, grazie allo sviluppo che i francesi avevano impresso alle miniere, entrate nella fase di gestione moderna, e con l'appalto Boury et Chevalier, per quanto fallimentare, per la prima volta in una logica paleocapitalistica.
Da quel momento, mentre Rio Alto si faceva sempre più marginale, per Rio Marina fu un'ascesa vertiginosa. Per tutto l'Ottocento fu la capitale economica dell'Elba, sede della direzione delle miniere. Addirittura arrivò a competere demograficamente con la “capitale amministrativa” dell'isola, Portoferraio. La società riomarinese era anche più articolata e stratificata: mentre la borghesia portoferraiese era perlopiù bottegaia e rurale, con interessi strettamente isolani; quella della Piaggia poggiava su una sviluppata armatorialità, con traffici mercantili ad ampio raggio, addirittura transoceanici. È significativo se un azzardo in passato impensabile, l'unica “scalata” elbana alla gestione delle miniere, sia stata intrapresa (e riuscita, nel 1888) proprio a un riese, l'armatore Giuseppe Tonietti. Per buona parte del Novecento Rio Marina mantenne questa importanza economica, anche se nella prima metà del secolo in concorrenza con l'ascesa della Portoferraio industriale.
Nel dopoguerra inizia il lento declino. La società riese è legata strettamente alle miniere e poco orientata al turismo. Quando viene ad aleggiare la notizia che l'Italsider, dal 1° gennaio 1981, non avrebbe più avuto intenzione di proseguire l'estrazione, i riesi videro in faccia l'amara realtà: i loro paesi erano passati nel giro di mezzo secolo dalla primazia economica ad area turisticamente sottosviluppata.
Ci furono sicuramente degli sbagli degli stessi riesi (e non solo), che scelsero di andare allo scontro duro con la società. Secondo Elvio Diversi, sindaco di Rio Marina in quegli anni, l'Italsider era disposta a stanziare dieci miliardi di lire per finanziare un piano di costruzione di strutture turistiche all'interno delle aree minerarie dismesse, per rilanciare l'economia orfana del settore estrattivo, in contropartita alla chiusura. Proposta che però fu rigettata. Anche Vinicio della Lucia, sindaco di Capoliveri, ricordava che per il suo comune erano stati proposti piani alternativi, anch'essi rigettati dall'amministrazione. Ma la situazione turistica tra Rio Marina e Capoliveri era profondamente diversa. Un episodio minore ma significativo, me lo raccontavano gli stessi minatori: durante l'assemblea nell'officina di Calamita, dove si discuteva del piano d'azione contro la chiusura, un operario riese disse, stroncando ogni proposta dell'Italsider: “Che pensano, questi? Di metteci un tovagliolo al braccio e facci lavorà come camerieri nei ristoranti e negli alberghi?”
Questo scontro insanabile e l'impossibilità di comporre una trattativa tra le istituzioni finirono per far prevalere la linea del governo: se, come dicono i protagonisti di quei giorni, lo stato era disposto a cedere almeno parte delle aree minerarie per una riconversione turistica, alla fine scelse di lasciare tutto al demanio, ponendo le miniere elbane nella condizione di riserva strategica, e mantenerle in stato di manutenzione conservativa.
Illustra bene questa situazione Lorenzo Marchetti, riferendo a Tiziana Noce (“Voci di vita elbana”, Livorno, 2003, pag. 146): “Purtroppo allora furono commessi degli errori perché quando cessò l'attività estrattiva fu sottoscritto un accordo fra il Ministero delle Partecipazioni Statali, l'allora Ministero delle Partecipazioni Statali e i vari enti locali, in cui si prevedeva che all'interno delle aree minerarie […] si potessero realizzare alcune attività sostitutive all'attività mineraria. Però l'accordo fu sottoscritto con il Ministero delle Partecipazioni Statali, quindi con l'inquilino delle aree, non con il proprietario delle aree, che era il Ministero delle Finanze. E sia il Ministero delle Finanze sia il Ministero dell'Industria per anni, hanno avuto grosse difficoltà appunto perché […] il ferro è un minerale strategico, le miniere non sono esaurite e quindi molto spesso il Ministero dell'Industria ha detto: 'È un gioiello, lo teniamo lì perché se per caso ci fosse una crisi internazionale e quindi l'Italia avesse difficoltà ad approvvigionarsi all'estero, dobbiamo riaprire le miniere'. Ora questo è un discorso che in teoria può andare anche bene, in pratica è un po' difficile perché una miniera non è un armadio che si apre e si tirano fuori i fogli, insomma. Una miniera va tenuta in stand-by, ci vogliono le professionalità adatte per fare il minatore, non è che si prendono dei disoccupati e si mandano in miniera, insomma, ecco”.
Per Rio Marina questa soluzione si rivelò problematica: ben un terzo della superficie comunale era espropriato dal demanio minerario. Per ragioni storiche i cavatori riesi erano in una situazione diversa da quelli capoliveresi. L'esproprio dei terreni di Calamita e Ginevro interessò marginalmente i possidenti capoliveresi, in quanto erano terre perlopiù abbandonate alla macchia, al massimo destinate al pascolo o ai carbonai, e limitatamente all'agricoltura. I terreni di proprietà erano quasi tutti concentrati in quelle aree non minerarie, che nel dopoguerra diventeranno l'eldorado turistico. Per questo i capoliveresi non furono interessati da espropri, e le loro terre, affacciate su coste e luoghi splendidi, poterono essere sfruttate nel mercato immobiliare ed edilizio, e ancor di più in quello turistico.
I riesi invece venivano da quasi due secoli di espropri massicci, sacrificio da pagare a quei governi così voraci di terreni ferriferi, da quello francese a quello italiano, passando per quello granducale. I possidenti, piccoli e grandi, cavatori o contadini, poterono fare ben poco per evitarlo (anche se le rivendicazioni furono tante, e ci vorrebbe uno spazio troppo lungo per parlarne). Per questa ragione, soprattutto a Rio Marina, molti non ebbero le potenzialità dei capoliveresi di sfruttare in senso immobiliare o turistico beni fondiari di qualità.
In sintesi, ai capoliveresi l'industria mineraria non aveva tolto, e in più l'industria turistica aveva dato con gli interessi e profumatamente; ai riesi l'industria mineraria aveva preso quasi tutto e, per giunta, l'industria turistica entrava a fatica e in pochi spazi.
Un altro aspetto che pesò molto sul mancato aggancio turistico è la geografia del riese. La costa è in gran parte ripida e strapiombante. Poche le spiagge, bellissime ma quasi tutte piccole cale e difficilmente raggiungibili. Questa condizione quindi non permetteva l'impianto di infrastrutture turistiche, condizionando l'economia della zona, ma preservandola dal punto di vista ambientale, tanto che oggi quella del comune di Rio è la fascia costiera più intatta dell'isola.
Questo complesso di cose, che ha condizionato pesantemente l'ultimo quarantennio, può essere dunque visto in chiaroscuro. Da una parte non ha favorito il turismo, dall'altra ha molto probabilmente evitato un discutibile incremento edilizio, basato su strutture sovradimensionate e impattanti, incompatibili, come rilevava Gin Racheli, con un'isola piccola come l'Elba. Basti pensare allo scellerato progetto del Villaggio paese, di qualche anno fa.
Negli ultimi anni comunque anche il riese ha accorciato le distanze con le altre realtà turistiche isolane, chiudendo con il suo glorioso ma ingombrante passato minerario. Rio Marina e Rio Alto in ogni caso hanno vissuto gli ultimi scampoli della nostra epica degli ultimi.
Andrea Galassi