Eccomi rientrato in terra di Siena dopo un'intensa tre giorni “ferajese” fatta di vecchie storie, di amici di sempre e di un'antica liturgia a base di vino, di “bira” e di Campari, questi ultimi due intrusi, introdotti nel nuovo rito del “Padrone e Sotto” con la riforma apportata dal Concilio Ecumenico delle Ghiaie del 1970.
Ma cosa c'è stato di così particolare e di nuovo in questo mio ennesimo ritorno fugace all'ovile (oh però mica so' becco) durante l'Inverno, a parte il fatto che erano cinque mesi che non traversavo il canale di Piombino, e chè è stato un condensato di parecchie piacevoli situazioni?
La novità è venuta da una compagnia teatrale itinerante "Gli Omini" costituita da ragazzi e ragazze toscani - credo che i due protagonisti principali fossero uno pistoiese e uno casentinese - che per dieci giorni si sono stabiliti a “Portoferaio”, registrandoci, assimilandoci ed infine magistralmente interpretandoci nella serata di Venerdì 25 Marzo al nostro Teatro dei Vigilanti, facendo il tutto esaurito con uno spettacolo bellissimo perchè naturale e con un copione di prima mano, ma soprattutto perchè pervaso da una sottile ma intensa poesia che ha oscurato i tanti nostri difetti caratteriali che pure sono venuti fuori, a cominciare da quello che con un termine “ferajese" tipico può essere definito “ciollaggine”.
Credo che il primo ed ineccepibile significato italiano dell'aggettivo nostrano “ciollo” potrebbe essere quello di individuo spreciso e disordinato, ma che in una accezione più ampia, lo stesso stia ad indicare una persona che se casca il mondo si sposta un po' più in là, uno o una che si lascia spesso andare ad un eccesso di “criticoneria” inconcludente, al fatalismo, al facile sarcasmo e che d'acchito può essere scambiato per un cinico, un cattivo o un invidioso.
"La scoperta del Giaconi” - questo il titolo dello spettacolo in riferimento ad uno dei nostri aneddoti e/o detti popolari più famosi - ha invece cancellato o attenuato i nostri difetti scavalcandoli con la poesia che ha aleggiato per tutta la durata della rappresentazione.
Inoltre penso che il succo del successo della serata ed in generale dalla loro dieci giorni "ferajese, stia in quello che quei ragazzi ci hanno poi confidato, dopo che tutti insieme, a spettacolo finito, sono andati a mangiare qualcosa da Guido detto “Peco”, dove ho trovato i miei amici Giampaolo detto “Musciara”, Roberto il “Mazzellino” o “Panzerotto II°”, ma ultimamamente chiamato anche “Stiaccina”, a testimonianza della grande simpatia che ha per la preparazione di questo alimento, dove pure rimane insuperabile come del resto in quella della pizza, e tante altri/e “sbrendoli e sbrendole ” che prima erano a teatro, compresa Bruna e “Tete” :
“Di spettacoli di questo genere - hanno sintetizzato poi gli attori - in giro per la Toscana e non solo,ne abbiamo fatti tanti, e vi possiamo dire che di storie e di personaggi ne abbiamo sentite e conosciuti tanti, ma nella vostra portoferaiesità, rispetto alla bellissima ed interessantissima tradizione popolare che si sta perdendo e che in altre parti ha pure dei connotati più marcati, rimane sottintesa qualcosa che va al di là di questa!”
Credo si riferissero alla poesia che trasmette il nostro essere “ciolli” e a quella cosa che loro stessi, ad un certo punto dello spettacolo hanno indicato, non ricordo bene le parole esatte, ma credo che il concetto sia quello, come una sorta di “Livornesità” meno marcata o più dolce, e per me che considero il popolo livornese come quello più artistico e genialoide di Toscana, forse proprio perchè il meno blasonato, le idee mi si sono all'improvviso schiarite.
Ma poi, visto che a bocca e a gargarozzo pieno 'un si parla, s'è soprattutto mangiato e bevuto.
(segue)
Michel Donati