Ritratto di famiglia elbana: L'Elbana
Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. E adesso, come da tradizione, arriva il colpo di scena.
Un'indagine scrupolosa impone non solo che si interroghino ed esaminino i sospetti, come il vostro affezionatissimo detective ha fatto finora, compilandone gli identikit; ma anche che si studi la scena del presunto delitto, che si perquisisca le case degli indiziati, per scoprire prove che facciano luce sul caso. E il vostro indagatore lo ha fatto.
Ha cercato in ogni canto, in ogni grotta, in ogni sito archeologico, in ogni caprile, percorrendo ogni sentiero, perlustrando ogni castello o chiesa o cava o museo, battendo ogni macchia o pineta o castagneto, inerpicandosi per scogliere e monti, tra ruderi antichi e moderni, cascinali e magazzini, palazzi e umili dimore.
E ha scovato in ogni luogo prove interessanti sul caso in questione. La prova più importante è che in questa storia di padri, fratelli e cugini, tutta al maschile, c'è anche un personaggio femminile, forse la vera protagonista: l'elbana. E in ogni angolo della sua casa, la sua amata-odiata isola, ha lasciato una traccia di sé. Quasi un testamento, che pazientemente il vostro indagatore è riuscito a mettere insieme brano a brano. Eccolo di seguito, per la prima volta raccontato direttamente dalla stessa elbana.
“Io sono una forza del passato.
“Io, vestito rattoppato da contadina, tempestato di cristalli, scintillante di ematite, pirite, granito, quarzo. Io, profumata di ginestra e castagneto in primavera, di cisti arsi dal sole d'estate, di pineta bagnata dalle piogge autunnali, di muschio freddo d'inverno. Io, scalza sul fango di miniera e sul suolo arido dei campi, le spalle snudate alla pioggia, la faccia contro tutti i venti.
“Io, figlia della Storia, quando non si chiamava ancora Storia. Io, la sposa presa con violenza, l'amante fedele, l'etera bramata dal padrone sprezzato dalla fortuna, la madre di tanti figli avuti da padri diversi. Io, la serva, la lavoratrice, la sfruttata, la calpestata, la derisa. Ma sempre libera. Libera, sempre. Io, la Libertà.
“Io, che ho ballato sulle vanità dei potenti, schiacciati nella polvere, sui loro palazzi putrescenti, sui bastioni un tempo possenti e poi schiantati dal cappero, il fico, il lentisco. Il mio canto ha dileggiato i ricchi e innalzato gli ultimi. Io, che ho sofferto le offese moresche e del lavoro, ma le ho celebrate come un dono della vita.
“Io, che credevo in un dio diverso dal dio della guerra che veneravano gli uomini che mi hanno violato. Il dio protervo portato da opliti di ogni lingua, dalle armature lerce di sudore, di fango, di sangue. Il dio arrogante che sbarcava dalle loro navi, polene scintillanti e stive fetenti. Il dio maledicente su punte di schidioni e alabarde, sul filo scintillante di scimitarre, eruttato da moschetti e bombarde, tonitruante con voce di dinamite e cannone, sibilante su bombe di sommergibili e aerei. Quel dio che mi ha sempre ferita gravemente, ma mai uccisa.
“E soprattutto quanto diversa era la madre di quel dio, che io veneravo perché madre dolorosa come me. Umile nel suo abituro del monte, salmastra come quella delle grazie a mio figlio pescatore e cavatore, bianca come la neve che ho visto così poco, ma anche nera e serrata dai monti, venuta col catalano, ma lo stesso così simile a me.
“Io, la madre di tanti figli, tanto diversi l'uno dall'altro, dagli idiomi quasi incomprensibili l'uno per l'altro. Io, l'unica che riusciva a capirli tutti. Io, che ne ho tanto amato la cantilenante pronuncia, la ruvidezza delle parole secche e tronche, le cacuminali della fiera lingua corsa, le nobili reminiscenze delle parlate maremmane e del contado pisano e lucchese e della superba Firenze.
“Io, la madre pietosa ma mai dispensatrice di false promesse e paradisi. Io, che guardavo i miei figli, ognuno a suo modo, ma col medesimo amore. E dicevo, implacabile come la verità: Prometto a te, figlio pomontinco, di sputare denti marci su pendici granitiche da ammaestrare. E a voi, figli riese e capoliverese, prometto carni lacerate e corrose dal ferro da scavare. E a voi, figli piaggese e marinese, una vita randagia e procellosa sul mare, logorati dal salmastro che brucia la vista sulla rotta di casa. E a te, figlio ferajese, assicurerò l'inferno della ferriera la mattina e una stanza scrostata senza calore e acqua la sera. E voi, figli marcianese e pucinco, mangerete pane duro nero di castagno tutto il giorno. E a tutti voi, figli, prometto annate dolorose senza uva e grano e vigneti bruciati da piaghe bibliche, e il piccone che spezza la schiena sugli orti sassosi, e visi anneriti dai fumi delle carbonaie e graffiati dai colpi di frusta dell'erica, e ossa infrante sui pascoli sotto un cielo nero che sembra precipitare addosso.
“E tutti, tutti i miei figli, mi rispondevano, con voci tanto diverse: Non importa, mamma, accettiamo l'acredine della terra, il dolore della vita, la disgrazia di ciò che vedremo sulla linea dell'orizzonte. E ne rideremo. Sì, ne rideremo, anche. Perché tu ci hai insegnato la cosa più importante: la libertà.
“E poi, un giorno, dopo l'ennesimo lutto di famiglia, i figli mi hanno guardata e mi hanno chiesto: Mamma, cosa dobbiamo aspettarci da quello che chiamano turismo?
“Io ho risposto: Figli, adesso posso farvi una lieta promessa. Quello che chiamano turismo è una cosa buona. Per la prima volta potrete possedere qualcosa. Ma state attenti. La ricchezza può essere pericolosa, divorare le persone. Vivete in una casa fragile, e il peso del benessere la può distruggere se non la tratterete bene. La libertà che avete sempre goduta può trasformarsi in un malinteso. Io, la lavoratrice instancabile, ancorché vecchia, vi posso insegnare una sola cosa: che anche in questi anni di opulenza sarete sempre i figli di un'umile governante.
E poi più niente. Dell'elbana spariscono le tracce.
Conclusioni. A questo punto l'indagine segna due importanti risultati. Nella vicenda la figura centrale della presunta scomparsa e omicidio non è l'elbano, ma l'elbana. E in questa storia non c'è un maggiordomo, ma una governante. Ma il mistero non cambia. È davvero scomparsa? È ancora viva? È lei la vittima, o addirittura l'insospettabile assassina? Per scoprirlo dobbiamo far entrare in scena l'ultimo personaggio, il membro chiave della famiglia, quello che non ti aspetti. E allora tutto sarà chiaro.
Andrea Galassi