Ercole Murzi se n’è andato via un mese fa e, quando me l’hanno detto, mi era ritornato subito in mente un episodio che allora non potevo certo raccontare – sarebbe stato irrispettoso e blasfemo – ma che quando eravamo dei capelloni imberbi, fece conquistare a quell’uomo molti punti di stima più di quelli che già aveva ai nostri occhi.
Ercole da bimbetti lo conoscevamo tutti: era il fornaio grande, grosso e buono che la mattina, quando andavamo a compra’ la schiaccia coi fichi da Iride a volte, quando la mamma faceva finta di non vedere, ci infilava tra la carta marrone che avvolgeva quel dolce dei poveri una striscia di schiaccia salata, quella con le goccioline d’olio e piccoli diamanti di sale che ci piaceva tanto. Quella che da bimbetti non conoscevamo era la sua doppia vita da pescatore (quella tripla di amante del ballo l’avrei scoperta solo pochi anni fa).
Ercole, così solare e pacioso, era in realtà un animale notturno: quando noi eravamo a letto da un pezzo, Ercole, prima di andare a fare pane, pinzette e schiaccia e micchette al caldo del forno, sotto la luce fredda del neon, varava il suo guzzo facendolo scivolare sui parati insevati e se ne andava al buio, sotto le stelle a pescare, d’estate e d’inverno, in autunno e primavera. Proprio come facevano gli altri fornai, Angiolino Scopino o Scopamare, e Gigi Pisello, anche loro Murzi di cognome. Una genia di fornai pescatori.
Poi Ercole, prima dell’alba, tornava a far battere il naso del suo guzzo sui sassi della spiaggia de La Marina, lo ritirava su, a braccia e parati insevati, fino alla muretta, e tornava con i suoi pesci e i totani al forno di Iride, per ricominciare a impastare e sfornare. A volte tornava a mani vuote, contento lo stesso. come se fosse uscito in mare solo per pescare le stelle del cielo che sciamano come acciughe nella Via Lattea.
Fu in una di quelle notti stellate e senza pesci che lo vedemmo risalire via Felice Cavallotti, forse in una notte di inizio autunno. Noi eravamo lì, saranno state le due o tre di notte, invisibili allo scuro, sotto il tendone del Bar di Aldo, e ci aspettavamo che, come sempre, Ercole attraversasse ciabattando l’acciottolato di Piazza di Sopra e, sfiorata la Chiesa di Santa Chiara, prendesse via Mentana – dove c’era ancora il negozio di materiale elettrico di Mario Treddui – e, in pochi passi, entrasse al caldo del forno. Invece Ercole si fermò e si poggiò, come se fosse improvvisamente stanco, all’angolo della piazza, alla cantonata del negozio di alimentari di Anna, a un passo dalla bacheca del Partito Comunista e a qualche passo in più dall’uscio ancora chiuso del forno di Ida, Scopino e Nilo.
Si fermò li, rischiarato dal lampione alto e ricurvo che segnava l’angolo dove finivano i sassi e cominciava l’asfalto. Ercole si bloccò come pensieroso, appoggiato al muro scrostato con il palmo della mano, ma staccato quasi per tutta la lunghezza del braccio che era leggermente piegato, con le gambe un po' divaricate, come a sostenere uno sforzo, un peso opprimente.
Poi, dopo qualche secondo di tensione, mentre noi lo guardavamo muti e invisibili dall’altra parte della piazza, temendo che stesse avendo un qualche malore, partì come un tuono, un boato quasi musicale, potente, che per qualche secondo fece ammutolire gli uccelli notturni che cantavano in Piazza. Poi uno stupito silenzio, rotto da un subitaneo e fortissimo sospiro di sollievo di Ercole per essersi liberato di quel peso gassoso che probabilmente lo aveva accompagnato per tutta la sua uscita col guzzo in un mare che già annunciava scossura.
Ercole si staccò dalla cantonata proprio mentre da sotto il tendone buio del Bar Atlantic partiva il nostro spontaneo, sbalordito e corale applauso, grati per poter aver potuto assistere a quello che ritenevamo, sinceramente, una portentosa manifestazione della natura umana. Qualcosa di storico, di inaudito, di inaspettato e miracoloso che non avremmo mai più sentito in vita nostra. Una roba da Guinness dei primati purtroppo non registrata.
Ercole non guardò nemmeno dalla nostra parte, accennò un gesto con la mano, come un timido saluto o, più probabilmente, per mandarci a quel paese, forse gli affiorò sulla bocca l’ombra di un sorriso e, rinfrancato, se ne andò verso il forno della sua vita.
Umberto Mazzantini