La cisterna romana del Lentisco è parte di quell'ampia area archeologica di Cavo, che fa capo all'edificio di capo Castello. Come dimostrano le scoperte di Franco Cambi e i suoi collaboratori alle Grotte, anche per il caso cavese potrebbe esserci una nuova chiave di lettura, diversa da quella ritenuta assodata della presenza di una “semplice” villa patrizia.
Purtroppo il sito romano di Cavo, a differenza delle Grotte, è stato compromesso da una serie di sconvolgimenti edilizi, di cui vedremo meglio fra poco. E la cisterna ne è un caso emblematico. Nell'ipotesi ricostruttiva di Vincenzo Mellini, il primo che la studiò, c'era la suggestiva possibilità che essa fosse sormontata da un tempietto, a cui si saliva tramite una scalinata. La cisterna era divisa in tre vasche, forse coperte da un soffitto a botte, come si vede ancora oggi, anche se questo è forse frutto di una ricostruzione. La muratura è nel classico opus reticulatum, ricoperto da un intonaco impermeabilizzato, tipico di una cisterna. Nel corso del tempo questi ambienti coperti sono stati utilizzati per diversi usi, soprattutto rurali: solo in minima parte come cisterna, in parte come cantina, come magazzino agricolo e addirittura come forno. Sono state aperte, e talvolta tamponate, porte e finestre, ed eretti tramezzi. Insomma, è stata pesantemente manomessa, pur mantenendone in parte una buona lettura.
Sopra di essa è stata costruita una villa, compromettendo la possibilità di stabilire se l'ipotesi della presenza di un tempietto fosse reale. La scala invece è ancora presente, anche se parzialmente ricostruita come si vede dalla foto che mostra chiaramente due tecniche costruttive diverse. Tra l'altro, esaminando le tracce alla base, coperte da una folta macchia, sembra che in origine la scalinata fosse più lunga. Sotto di essa doveva passare la conduttura che raggiungeva l'edificio di capo Castello. Se l'ipotesi di Mellini fosse giusta, l'effetto scenografico da capo Castello doveva essere suggestivo: un lungo e dritto sentiero che risaliva la collina del Lentisco e culminava con la scalinata e il tempietto svettante sul cubo della cisterna.
Ma questo attiene al passato. L'oggi è solo sfacelo.
Come si vede dalle foto l'area è totalmente abbandonata. La villetta è solo un rudere cadente e vandalizzato. La scalinata in rovina. Il terrazzo della villa, cioè il tetto di parte della cisterna, mostra cedimenti e crepe, e anche parte della stessa villa stanno deperendo: un cedimento della struttura potrebbe far collassare anche le murature della sottostante cisterna, cancellando una testimonianza romana inestimabile. Oltre al rischio che i vandali potrebbero fare danni anche alla struttura romana, ormai facilmente accessibile.
Suggerirei non solo di sollecitare lavori di messa in sicurezza dell'area, ma al contempo anche avviare uno studio archeologico dell'area stessa che, come per il caso delle Grotte, potrebbe darci qualche elemento in più per contestualizzare il sito. E magari che anche le istituzioni si muovessero per acquisirlo dai privati e valorizzarlo per il suo valore archeologico.
Cavo è infatti una località di estremo interesse archeologico e culturale. Ma è anche paradigmatica di uno scarso attaccamento degli elbani al loro patrimonio. Quello della frazione riese è andato in gran parte perso per diversi fattori: quello agricolo e rurale (la demolizione della chiesa di San Bennato e appunto la manomissione della cisterna del Lentisco), quello militare (la costruzione di una batteria della guardia costiera, che distrusse parte del complesso di capo Castello), quello di un'edilizia poco rispettosa e turistica (l'edificio romano di capo Mattea raso al suolo per la costruzione di villa Bensa, la distruzione totale della chiesa di San Bennato per costruire una discoteca, lo sventramento di buona parte del complesso a piani di capo Castello per costruire ville), e infine quello culturale (il disinteresse e deperimento del mausoleo Tonietti).
Vogliamo continuare con la lista dell'orrore, o salviamo almeno il salvabile?
Andrea Galassi