Coinvolto provocatoriamente nella disputa fra le correnti religiose dei farisei e dei sadducei (questi ultimi, come ricorda il vangelo, dicono che non c'è risurrezione), Gesù afferma che Dio è Dio dei viventi e che gli uomini sono figli della risurrezione, figli del Dio della vita.
Abbiamo superato da poco il giorno del ricordo delle persone che hanno lasciato questo mondo. Un tempo di riflessione non solo sul passato e sul presente affettivo ma anche sul futuro, pensando all'inevitabile compimento dei propri giorni. La riflessione sulla morte (biologica) attraversa i secoli. Un elemento fortemente presente nella nostra cultura è la paura, anche della morte.
Del vangelo odierno mi sembra che si possa cogliere un essenziale invito a credere nella vita, la quale è dinamismo, movimento, sviluppo. Il riferimento alla risurrezione richiama prima di tutto la convinzione che la vita è costante trasformazione, con il passaggio da una forma all'altra (basta pensare all'essere umano come bambino, pre e post parto, e poi i continui cambiamenti). Questo vale sul piano fisico e mentale ma anche su quello spirituale.
Le diverse tradizioni concordano nell'affermare che, con quella esteriore, vi è anche una crescita-trasformazione interiore. Gesù parla di risurrezione e di Dio della vita e dei viventi. L'apostolo Paolo sottolinea che tutti esistiamo in Dio: in lui siamo e viviamo, da lui veniamo e in lui saremo. Questa consapevolezza libera dalla paura della perdita di una specifica forma di vita: la vita continua in nuove forme e sviluppi. Così si può dire che la risurrezione inizia in questa vita. E si disvela nelle manifestazioni dello spirito, quando si oltrepassa il dominio del proprio io e del particolare per vivere l'esperienza dell'apertura, del silenzio, della reciprocità, dell'inclusione, della compassione e condivisione, della bellezza. In una parola, l'esperienza dell'amore. Il compito di ognuno, nella quotidianità dell'esistenza, è di sviluppare l'io spirituale (io interiore, io eterno, corpo di risurrezione) che è partecipazione all'eternità e all'infinità di Dio. Il rapporto con la morte, più che essere condizionato da una riflessione intellettuale, credo che possa essere risolto all'interno di una pratica di apertura consapevole alla vita, caratterizzata da attenzione e cura, da semplicità, bellezza e, diciamolo, bontà. Dire: “credo la risurrezione” significa allora proclamare la volontà di costruire (costruendosi e costruendo) vita attorno a noi. Opponendosi, in tal modo, ad una cultura di morte che impedisce, a sé e ad altri, la possibilità di sviluppare il potenziale interiore.
(6 novembre 2022 – XXXII Domenica Tempo Ordinario)
PS – Milarepa, poeta buddista tibetano, morto nel 1135 scriveva: “Questa vita, la prossima vita, considera come una sola cosa”. E papa Francesco: “Le cose di quaggiù non andranno lassù: le migliori carriere, i più grandi successi, i titoli e i riconoscimenti più prestigiosi, le ricchezze accumulate e i guadagni terreni, tutto svanirà in un attimo”.
Aldo Capitini, filosofo della nonviolenza (morto nel 1968), in occasione della perdita di un amico parlava di compresenza dei morti e dei viventi: “A te, che sei oggi davanti a noi come morto, porgiamo un saluto di gratitudine per tutto ciò che ci hai dato da vivo e per tutto ciò che continuerai a darci in eterno. La tua parte c'è sempre stata nella nostra vita e sempre ci sarà: sappi che ne abbiamo veramente bisogno. Tu hai incontrato il fatto della morte, come tutti gli altri che, morendo, sono stati martiri, perché hanno testimoniato che esiste questo fatto. In ogni nostro dolore ti ricorderemo. E un giorno sarai visibile, non perché ritornerai da una lontananza, ma perché finirà questa realtà che impedisce di vedere come tu vai avanti in una via di sviluppo e di miglioramento. Intanto attuando valori saremo insieme, e sempre più uniti. Noi ti parliamo in nome di tutti, oltre ogni distinzione e gruppo particolare. La bellezza della luce e di ogni lume acceso ci consola nel mondo, e più saremo certi che tu, nella compresenza di tutti, ci dai un aiuto, più sarà per noi una festa.”
Nunzio Marotti
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