Nel Giorno del Ricordo racconto un personaggio immaginario e fatti reali che si mescolano, si confondono, si immergono nella storia cruda dell’esodo, delle foibe, della tragedia del confine orientale. Nicolò Sponza detto paladin, nato a Rovigno in Grisia la calle coi scaledini che porta a Sant’Eufemia. Il maschio dopo tre femmine. La mamma s’ciava di Villa di Rovigno alta, magra, bella con i suoi lunghi capelli neri e gli occhi verdi. Il padre ‘talian di Rovigno, un toco de omo, onesto lavoratore di poche parole, pascadur con qualche anno in più. Si sposano in segreto, la famiglia considera el pascadur ruvignis che viene ogni venerdì a piedi scalzi con le cassette del pesce sulle spalle da barattare con il malvasia non adatto alla figlia. Allo scoppio della guerra lo mandano in Sicilia, non farà ritorno.
Nicolò cresce in citta viecia con lo sguardo attento, amorevole, protettivo di quattro donne. Si sente libero, felice favielando ruvignis. Corre a perdifiato per una Rovigno che non c’è più, proletaria, semplice, umile, orgogliosa dei lavoratori dell’Ampelea, delle tabacheine. Ha conosciuto l’esodo. Non era mai stato fascista, era stato comunista in gioventù, aveva studiato gli scritti di Milovan Gilas e come lui aveva preso strade diverse.
“Ve prego no ste venir in redazion… se incontremo drio le machinete del cafè… che za i disi che voi xe de destra… se i ve vedi con mi xe finidi per sempre”.
Siamo nei primi anni ’80 del secolo scorso, il dialogo telefonico tra Nicolò e dei suoi amici che stavano andando a trovarlo in redazione a Trieste. Il suo peccato, avere fatto un’inchiesta giornalistica sulle foibe e sui feroci eccidi del confine orientale, rompendo un tabù durato decenni, raccontando verità scomode sugli infoibati nelle cavità carsiche, spiegando che tra quei morti non c’erano solo fascisti, ma anche uomini e donne colpevoli di non seguire le direttive titine, con un proprio pensiero critico considerato nel dopoguerra una colpa grave, con il rischio della vita. Amici, storici, colleghi giornalisti sostenitori del pensiero dominante lo coprono con una valanga di lettere, denunce, comunicati, lo accusano di notizie infondate, imprecise, se non addirittura false. Da quel momento gli voltano le spalle lo marchiano come amico del fascismo.
Le sue ricerche basate su documenti inediti trovati negli archivi jugoslavi non potevano essere liquidati come un’invenzione, dovevano essere screditati, delegittimati per evitare di fare chiarezza su quel buco nero della storia forse volutamente dimenticata per decenni e che improvvisamente come un fiume carsico ritorna dal passato.
Nicolò Sponza personaggio immaginario come l’Olandese Volante a cui un destino avverso impedisce di tornare. Forse inconscio collettivo delle genti istriane, fiumane e dalmate che – testardamente – con il loro voler rimanere legati alle proprie tradizioni, usi, costumi e che si sentono profondamente spaesati dal nuovo regime che faticano a comprendere, fanno la scelta dolorosa, forse tragica dell’esodo di massa verso un’Italia povera, appena uscita dalla guerra civile, semidistrutta dai bombardamenti. Un’Italia matrigna che li considera fascisti, costretti a nascondere le proprie origini per cercare di sopravvivere nei campi profughi sparsi per tutto il Paese.
All’inizio del nuovo millennio assistiamo, probabilmente, al momento della maturità con lo sdoganamento delle foibe, dell’esodo, degli eccidi feroci del confine orientale, anche dovuto al fatto che ci si è resi conto che amputando dal passato recente gli eventi delle terre perdute, si veniva a smarrire quel senso d’identità nazionale che aveva segnato il cammino di unificazione dal Risorgimento alla Costituzione repubblicana, attraverso la Prima guerra mondiale o Quarta guerra d’indipendenza che aveva segnato il compimento dell’unità nazionale voluto dai padri del risorgimento. L’Italia rischiava di diventare un Paese senza memoria, in un mondo in continua evoluzione in cui i processi di globalizzazione e di integrazione europea richiedevano una giusta dose di consapevolezza nazionale per reggere le difficili competizioni del futuro.
Nel 2004 il 10 febbraio diventa – Giorno del Ricordo – per non dimenticare in memoria dell’esodo, delle vittime delle foibe, degli eccidi del confine orientale. Parlarne oggi forse significa valorizzare la storia di un territorio, l’Adriatico orientale, ricco di cultura, tollerante, multietnico, multiculturale. Un territorio a lungo conteso da una popolazione, anzi, da due popolazioni, quella italiana e quella slava, in cui la gente della sponda orientale ha pagato lo scontro tra due ideologie totalitarie, senza le quali, forse, il conflitto si sarebbe potuto risolvere in altro modo, senza una tragedia, senza ingiustizie collettive di tali proporzioni.
Il Giorno del Ricordo è l’occasione non tanto per un anacronistico ritorno al passato, ma di conservare il ricordo di una tragedia che ci accomuna tutti dal primo all’ultimo per ricordare per non dimenticare.
Enzo Sossi