Nel 1291, Genova, attratta dalle risorse economiche dell’Elba, dopo aver duramente sconfitto la rivale Repubblica pisana nelle acque della Meloria nel 1284, conquista l’Elba. Le Compagnie commerciali della ‘Superba’ non si fece sfuggire la doppia occasione rappresentata dallo sfruttamento delle ricche miniere e dalla posizione strategica per gli scambi marittimi e commerciali nel Tirreno.
Negli ‘Annali genovesi’ è scritto che nel luglio del 1291 una flotta capitanata da Enrico de Mare parte alla volta dell’isola d’Elba e che Niccolò Boccanegra vi approda pochi giorni dopo con cavalieri e truppe di terra. Sempre le ‘Cronache’ narrano che le milizie delle Comunità elbane si ritirano prima nel ‘burgum’ e poi nel ‘castrum’. Si tratta di una ritirata difensiva, prima nella Capitanìa di Capoliveri e poi nella fortezza del Volterraio. Di fronte alla supremazia militare dei Genovesi, dopo aver cercato disperatamente di resistere, gli isolani si arrendono, cedono le fortezze e consegnano al Doria quaranta ostaggi, scelti fra i membri delle famiglie più importanti, che sono deportate a Portovenere. Alcuni mesi dopo, temendo che Pisa possa riappropriarsi dell’isola il Comune di Genova prepara una flotta al comando di Corrado Doria che sbarca nell’isola e riceve promessa di fedeltà dagli isolani e procura di rinforzare le difese marittime e terrestri della guarnigione.
In realtà Pisa perde l’Elba per un periodo piuttosto breve; sono le stesse ‘Cronache’ genovesi a riportare il nome di un ‘Tedisio Elbano’ che, con l’aiuto di milizie pisane provenienti da Piombino, sconfigge la guarnigione genovese.
Nel 1292, definitivamente scacciate e catturate parte delle milizie liguri, questo eroico elbano tratta la resa, esige l’allontanamento della guarnigione genovese e la restituzione degli ostaggi detenuti a Portovenere. Nel volgere di poco tempo il presidio genovese si rimbarca sulle navi del Doria alla volta di Genova. Si tratta di una liberazione messa in atto dagli stessi elbani al comando di un personaggio di cui non si conosce altro che il nome e il fatto eroico ricordato nelle cronache genovesi che scritte dalla parte avversaria non teme smentita.
Sulla ragione della venuta dei Genovesi e sull’importanza del ferro elbano e dei suoi giacimenti, gli stessi documenti di parte genovese narrano che: “(...) cum multi Lambardi pro comuni Ianue, occasione cavandi venam ferri”. I genovesi hanno trasportato via mare molti ‘Lambardi’, operai, percavare il prezioso minerale. Così inizia e finisce la breve dominazione genovese sull’isola d’Elba.
Dopo questa parentesi, Pisa, riconquistata l’isola con l’aiuto dei suoi abitanti, grazie a un vero e proprio moto popolare, inizia una nuova fase in cui si mette mano alla dotazione di opere di difesa e all’invio di un numero considerevole di uomini armati. Alle spese occorrenti provvede il ‘Camerario’ dell’Elba Vanni di Gherardo Rau, che nel 1296 è ricordato come ‘Operaio, castrorum et fortellitiarum et aliorum in insula Ilbe’, Sono rinforzati i castelli di “Monte Voltrajo” e “Monte Mersale”.
Il XIV secolo in Toscana è caratterizzato dalla lotta fra i Comuni guelfi, tra i quali inizia a primeggiare Firenze, contro la ghibellina e filoimperiale Pisa (Vita e Imperio delle Genti). In questo periodo non mancano all’Elba avvenimenti dannosi e rovine quando la flotta di Roberto d’Angiò, re di Napoli, nella sua rotta verso Genova, approda all’isola e sono commesse ‘ruberie’ ai danni delle popolazioni.
Poi il corsaro genovese Branca di Nurra, in cerca di rivalsa sui territori sotto la dominazione pisana, mette in grande agitazione tutti i fortilizi delle isole tirreniche e in ultimo si affacciano sul mare i Fiorentini che rivolgono per la prima volta i loro sforzi militari verso la conquista delle isole tirreniche in questa situazione, un ‘Breve della Curia del Mare’, dei primi del Trecento ingiunge a tutti coloro che incrociano nei possedimenti pisani sulla costa toscana e sulle isole di Corsica e Sardegna, di munire le navi di numerose ‘baliste’.
Pianta di Marciana dal Catasto lorenese del 1841, in evidenza la stellata fortezza pisana, (notare in basso la scritta “La Tomba”)
Nel 1324 il Tesoriere della Repubblica rimborsa il Comune di Marciana per lo stipendio di un custodesorvegliante del mare con armati. Frammentari documenti descrivono la gran cura con la quale è attuata la difesa delle zone minerarie, ‘alla custodia della vena del ferro’; ancora nel 1380 sono inviati all’Elba quarantadue ‘balistarii’ e diciotto militari. I Capitani di Pisa formano e addestrano un piccolo esercito d’isolani. Le cronache pisane ricordano che l’Elba fornì uomini armati ai Comuni vicini: nel dicembre 1336, scoppiati dei disordini a Piombino, “(...) vi mandarono uomini dall’Elba e da Campiglia”; nel 1371 le Comunità elbane rinforzano la presenza militare comandata da uomini d’arme pisani. Infine l’Elba fornisce più volte fanti a Pisa per la difesa delle terre e dei castelli di Campiglia e il Comune di Campo propri soldati per la difesa del castello di Vignale; tutta la costa tirrenica allora dominata da Pisa è sotto costante sorveglianza.
Le discordie tra gli abitanti dell’isola e la stremata e ormai vacillante Repubblica pisana si fanno nuovamente sentire; durante questa fase finale del dominio, documenti coevi confermano che all’Elba accadono gravi disordini. Gli abitanti di Capoliveri si ribellano con un vero e proprio moto popolare e con reati contro la proprietà; lo stesso Consiglio degli Anziani di Pisa riconosce le cause nelle infelici condizioni economiche dei paesi elbani, i cui abitanti sono costretti a predare una nave carica di grano, a causa di una grave carestia che sta colpendo quella parte dell’isola.
Il numero di lavoranti occupati alle miniere e al trasporto del ferro rimane considerevole, ma causa problemi di carattere sociale; si arriva a chiedere che fossero risparmiate le condanne pecuniarie dovute ai mancati pagamenti di dazi e gabelle, che avevano ridotto le Comunità a un’inevitabile rovina, poiché grande era l’indigenza degli abitanti.
Alla fine del secolo si aggiunse il problema del gran numero degli ‘sbanditi’, confinati all’Elba dal Comune di Pisa; questa presenza non gradita crea nuove cause di conflitto e malcontento. I ‘comunisti’ di Capoliveri muovono formale lagnanza alle autorità di Pisa, ricordando che la loro terra era sprovvista di mura e che il gran numero di tali ‘sbanditi’ non permette la sicurezza e la tranquillità dei lavori campestri. Un ‘Breve’ del Comune, riconosce che il loro numero si era fatto pericoloso e
prevede gravi multe e sanzioni a chiunque avesse prestato servizio, aiuto o consiglio a uno ‘sbandito per malefizio’. Attraverso compensi si cerca di far cooperare i cittadini con i Magistrati per estirpare quella ‘mala pianta’; gli Anziani di Pisa registrano che quei condannati all’esilio erano arrivati a organizzarsi e a commettere a più riprese danneggiamenti contro cose e uomini.
Alessandro Canestrelli
Nell'immagine di copertina: Stampa cinquecentesca di Genova, Repubblica marinara