Vivere banalmente è forse la forma più alta di spreco.
Per sfuggire si cercano fonti alle quali bere per colmare la sete di senso e di significato. La bontà della fonte è verificata solo dopo aver vissuto un certo tempo. Si ha modo, così, di capire se siamo stati illusi, e poi delusi, o meno. Eppure, anche nei casi peggiori, qualcosa si salva: la persona.
Il vangelo di questa domenica ci parla di acqua e di fonte. L'episodio è noto: Gesù, libero dai condizionamenti del tempo, chiede da bere a una donna considerata religiosamente impura, tanto che lei stessa e i discepoli si meravigliano della richiesta.
Al centro del racconto c'è un'importante affermazione sull'acqua che Gesù promette di donare: Chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna.
Al pozzo si incontrano la sete della donna, che è sete d'amore (cinque mariti!), e la sete di Gesù, che è amore sconfinato per ognuno. L'unico interesse di Dio-Amore è di donarsi completamente, unirsi con dolcezza all'essere umano nella profondità, nel suo centro (cuore). E' questo il dono di Dio: se stesso che diventa vita dell'uomo. Se tu conoscessi il dono di Dio, dice Gesù alla donna. La consapevolezza della nascita di Dio in noi è esperienza che muta l'esistenza, che placa la sete, che non riduce la relazione con Dio a un luogo (monte, tempio) o a particolari riti. Se da una parte si supera la religiosità servile (Dio che chiede) in favore di quella filiale (Dio che si dona), dall'altra si evolve la coscienza di sé nella prospettiva indicata dall'apostolo Paolo (Non sono più io che vivo ma Cristo in me). Così, senza frapporre ostacoli, l'uomo lascia fluire l'acqua, l'energia di vita, l'amore che scaturisce dal di dentro. Così la testimonianza non è dovere, sforzo, compito, ma gioiosa e gratuita comunicazione (se necessario, anche con le parole, come ripeteva Francesco d'Assisi) di luce, vita e amore donante e perdonante. In tal modo l'immagine di Dio riflette la realtà di cui, appunto, è immagine.
Il frutto maturo dell'opera di Cristo è la Pentecoste, il dono del suo Spirito. L'uomo diventa tempio dello Spirito di Dio, dentro all'uomo è la sorgente del tutto.
Cos'è l'uomo perché te ne curi?, chiedeva il salmista. E' una domanda che ci poniamo anche noi. Ce la poniamo guardandoci e riscoprendoci pieni del Tutto. Ce la poniamo osservando gli altri e saltando le distinzioni per andare a quel nocciolo che ci accomuna, l'umanità impastata di divinità.
Crollano culture e sistemi educativi che tendono a dare priorità alle distinzioni, ponendo barriere a difesa di interessi e privilegi (costruiti sugli altri) e usando violenza (chiamata forza in virtù di leggi apposite) per non perderli o diminuirli.
Si intuisce allora quanto sia trasformativa la successiva affermazione di Gesù: Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità.
(12 marzo2023 – 3^ Domenica Quaresima)
PS - “Se offro una rosa rossa a una capra, essa inequivocabilmente la mangia, senza dire alcuna parola che significhi qualcosa. Per noi invece, se non siamo ridotti a puri consumatori di cose e sensazioni, la questione è ben diversa. Un botanico classifica la rosa, un giardiniere la coltiva, un fiorista la vende... e un innamorato la dona alla sua donna. La quale, a sua volta, non la mangia né la classifica né la coltiva né la vende: ne gioisce come segno di ciò che dà luce alla sua esistenza. Quante diverse reazioni, e poesie, può ispirare la stessa rosa!” (S.Fausti)
Nunzio Marotti
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