Si parla di un cieco nel vangelo di questa domenica. Di un cieco che incontra il Cristo e inizia il suo progressivo cammino di consapevolezza. Il tutto avviene all'interno di uno scontro fra Gesù e i custodi dell'ortodossia legalistica. Questi ultimi mettono al primo posto l'immagine del Dio legislatore e considerano peccatori (cioè in cattiva relazione con Dio e, in sostanza, dei falliti) i trasgressori delle prescrizioni, in questo caso della legge del sabato. Gesù è fra questi perché quel giorno “lavora” prendendosi cura di un uomo in stato di bisogno. Per lui conta il bene dell'uomo, per il quale vale la pena giocarsi la propria vita, perderla per poterla ritrovare. In questo senso, i veri ciechi sono proprio coloro che pretendono di difendere le prerogative di Dio trascurando l'uomo concreto. Un monito forte per quanti ci dichiariamo cristiani: siamo ciechi anche noi? siamo capaci di vedere correttamente? Dall'insieme del vangelo emerge con forza che si vede e si è nella luce quando si capisce di essere figli di Dio e fratelli di tutti. Allora, siamo tutti in un cammino che inizia con l'ammissione di essere ciechi, del fatto che scegliamo ciò che vogliamo vedere in base ad attaccamenti e dipendenze (fisiche e mentali). I modelli di violenza, che permeano le nostre società e le nostre teste, impediscono una visione chiara della realtà, rinchiudendoci in schemi mentali che portano ad etichettare (labeling) gli altri. Il passaggio dalla cecità alla luce è graduale, anche se talvolta ci possono essere esperienze forti che coinvolgono e hanno valore rivelativo (disclosure). In ogni caso, un importante ruolo lo giocano le esperienze legate alla sofferenza e all'amore (dono).
Partendo dal fatto che tutti abbiamo la nostra dose di cecità, possiamo affermare che siamo ciechi quando non vediamo ciò che minaccia il bene della persona. Lo siamo quando anziché vedere il bambino vediamo il migrante. Lo siamo quando nell'altro colgo in modo assoluto la sua diversità e appartenenza dimenticando la comune umanità e fratellanza. Siamo ciechi quando non vediamo l'assurdità della guerra e le disuguaglianze planetarie accentuate dall'emergenza climatica. Siamo ciechi quando, per difendere comodità e “privilegi”, distogliamo lo sguardo dalle situazioni che potrebbero coinvolgerci “troppo”.
In tutto questo, l'elemento chiave è il non voler riconoscere la cecità. Senza questa ammissione, nessuna luce potrà illuminarci e illuminare il nostro sguardo sulla realtà. Neppure lo Spirito del Cristo, luce del mondo, che pure è in ciascuno di noi.
Ma... nessuno può perdere la speranza di diventare l'umano che desidera per gli altri e per il mondo, affinché vi sia vita per tutti. Infatti, persone ed eventi svolgono una funzione pedagogica, suscitando dubbi e interrogativi che possono portare all'apertura di spiragli esistenziali da cui la luce fuoriesce (o, se si preferisce, entra... ma su ciò che è spirituale le categorie spazio-temporali non hanno grande senso), segno di un cammino di trasformazione (trasfigurazione), proprio dei figli della luce. Paolo (seconda lettura) agli abitanti di Efeso scrive: Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Lo sguardo dei figli della luce è lo sguardo stesso di Dio. Uno sguardo misericordioso verso tutti, specialmente per gli ultimi e i piccoli, trascurati socialmente ma con i quali lui stesso si identifica (quello che avete fatto ai più piccoli lo avete fatto a me!). Così, non conta quello che vede l'uomo: infatti l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore. E sono queste parole a guidare il profeta Samuele (prima lettura) nella scelta del futuro re di Israele, Davide, il più piccolo e meno prestante fra i figli di Iesse.
(19 marzo 2023 – 4^ Domenica Quaresima)
Nunzio Marotti
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