Il Neolitico è un periodo della preistoria, l'ultimo dei tre che costituiscono l'Età della pietra, che va dall'8000 a.C. al 3500 a.C. circa. Fu contraddistinto da notevoli innovazioni nella litotecnica, tra le quali la principale è rappresentata dall'uso della levigatura. Altre innovazioni furono l'introduzione dell'uso della ceramica (Foto di copertina) dell'agricoltura e dell'allevamento.
Le genti del neolitico imparano ad estrarre e lavorare metalli.Dipingono ed incidono.Imparano a navigare.All’età della pietra nuova (neolitico) si arriva gradualmente passando dal paleolitico superiore attraverso il mesolitico(l’età della pietra di mezzo). Il territorio insulare elbano non ha finora restituito tracce di manufatti litici riferibili al mesolitico quando l’Elba con la fine dell’ultima glaciazione per l’innalzamento del livello del mare era divenuta isola come è oggi.
Nel mesolitico non era più raggiungibile a piedi come al tempo della pietra antica(paleolitico). Ciò fa credere che l’Elba sia stata priva di attività umana per almeno 5000 mila anni fino all’arrivo dei primi navigatori neolitici.Ad essi si devono la nascita di rotte commerciali marittime legate allo smercio della ossidiana e all’insediamento dei primi agricoltori neolitici sull’isola. Dixon ed altri hanno descritto le rotte seguite dai primi navigatori neolitici.
(Cfr “L’ossidiana e le origini del commercio. Viaggio nel tempo: evoluzione dell’uomo e preistoria. Milano 1977)
Questi navigatori neolitici avrebbero usato una navigazione a vista: dalla costa tirrenica all’Elba, alla Corsica fino alla Sardegna
(Cfr pg 192-200 di “La navigation en France au Néolitque et à l’age du bronze” G Camps .La préhistoire française. II Paris. 1992)
Avrebbero sfruttato, questi navigatori, le correnti marine di superfice che hanno consentito loro una diffusione dalla costa tirrenica all’Elba. Un percorso dal ‘continente’ all’isola che sfruttava la corrente che a nord di Piombino si dirigeva verso ovest costeggiando a nord l’isola d’Elba, raggiungendo dopo un tratto di mare aperto di circa 50 Km la costa orientale di Capo Corso in corrispondenza del sito neolitico di Torre dell’Aquila.
(Cfr pg 379-388 di “Correnti marine di superfice e navigazione durante il neolitico “M. Pennacchioni -.Atti XIII congresso internazionle UISPP, vol.3. Forlì 1998)
Mentre in direzione opposta ,verso le coste tirreniche ,potevano sfruttare la corrente che dalla costa orientale della Corsica si dirigeva verso Pianosa e di lì poi raggiungere l’Elba e da qui poi il promontorio di Piombino.
(Cfr pg 23-24 di “Gente dal mare: gruppi della ceramica impressa cardiale e rapporti fra isole e costa centro tirreniche“ P. Ucelli Gnesutta. Atti del VI incontro di studi, Maggio 2000 . 2002)
Da dove provengono questi navigatori neolitici?
La frase “ataro turupterija ono” di una tavoletta micenea rinvenuta a Pilo di Messenia che si riferisce ai commerci egei di manufatti metallici con l’Elba può farci capire,intendere quali contatti la scoperta della navigazione marittima nell’età neolitica aveva aperto.
(Cfr pg 69 di “Isola d’Elba le origini“ M. Zecchini. Lucca 2001)
“….E’ questo il periodo delle grandi innovazioni tecniche e delle rivoluzioni sociali ed economiche: infatti la pietra non viene più solo scheggiata ma è anche levigata con un evidente progresso di tecnica esecutiva; l’economia di basa sull’agricoltura e sull’allevamento degli animali e la caccia diviene pura fonte occasionale di cibo; la donna dedita alla coltivazione dei campi, assume un ruolo preminente in seno alla famiglia e alla tribù rovesciando il tradizionale patriarcato paleolitico.
Le genti neolitiche creano scalpelli, coltelli, punteruoli, falcetti da mietitura utilizzando come materia prima la pietra, l’osso, il legno. I coltelli sono grandi lame di selce ritoccate sui margini e ottenute con la tecnica della percussione; i pugnali e i punteruoli sono di solito fatti con ossa di bue: ma il gioiello della tecnica strumentale neolitica è senz’altro l’ascia di pietra verde o di diorite con i margini e il taglio resi affilati dalla levigatura, adatta ad essere incastonata in un lungo manico di legno o di osso….. Con il neolitico sorgono i primi veri e propri villaggi di capanne nelle vallate o sui pianori, si abbandonano le grotte che vengono adibite di solito a scopi religiosi, si definisce il carattere di sedentarietà dell’uomo legato alla vita dei campi, si scopre la ceramica e si dà inizio ad una attività che sarà comune a tutti i popoli dell’antichità; l’arte vasaria ….”
(Cfr, pg 22-23 di “ L’Elba dei tempi mitici” M. Zecchini Pacini editore Pisa 1970)
Arrivati all’Elba queste genti che sanno navigare e levigare la pietra con tecnica nuova e sconosciuta hanno lasciato i resti di tale industria litica disseminati in tutto il territorio isolano.
Raffaello Foresi di questi manufatti litici levigati così ne parla scrivendo al prof Simonin nel 1867:
“…Gli oggetti litici che spettano al periodo della pietra levigata sono tutti (eccetto due frammenti di porfido verdognolo) cavati da rocce elbane; cioè dall’ofiolite diallagica o serpentino antico, dalla diorite, dal diaspro opaco, dalla ftanite, e dal calcario compatto o alberese.
Mi verrebbe la tentazione di mostrarvi a dito un mazzuolo, un’accetta ovale assai grossa di serpentino, un punteruolo di diaspro opaco, certi scalpelli di ftanite, d’alberese e di serprentino, qualche amuleto di pietre diverse e un peso forato di schisto di macigno; ma non voglio estendermi oltremisura sì per non darvi malinconia e sì per lasciarvi campo di far da voi, che non avete bisogno di ricever l’imbeccata da me.
Nella mia lettera al prof. Cocchi pubblicai, per testimonio di animo gratissimo, i nomi di quegli elbani, che mi sovvennero in tante penose ricerche. Alla lista di allora datemi licenza d’aggiungere i nomi seguenti.
Giuliani Fortunato, detto il Grigiali, Sbarra Gaetano, Senno Antonio, Senno Tebaldo, Testi Stefano.
Nella stessa lettera registrai con diligenza i luoghi dell’Elba che fornirono oggetti litici. Ora ve n’è altri, e sono: il Lazzeretto presso Portoferraio, le Fornacette, la Valle, la Punta del Cavo, il Lito, il Piano di Capoliveri, le Tre Acque, San Martino, le Carene, la Biodola, Procchio, il Filetto, i Forcioni e Pomonte.
Stazioni vere e proprie dell’età della pietra già scrissi che furono Santa Lucia e Lacona: oggi ripeto lo stesso per San Martino, dove sì ricca in due anni è stata la messe, da avanzare, non che agguagliare le altre fatte nelle due prime stazioni….”
(Cfr pg 17-18 di “Sopra una collezione composta di oggetti antistorici trovati nelle isole dell’arcipelago toscano e inviata alla mostra universale di Parigi. Lettera di Raffelo Foresi al professore Simonin “Firenze 1867)
Dunque la vallata di S. Martino e sue vallecole con cime delle colline che circondano e loro pianori che erano già stati sede di attività umana durante l’età della pietra antica (paleolitico), offrono un naturale rifugio di insediamento ai navigatori ed agricoltori neolitici con primi nuclei di villaggi dove espletano attività agricolo-silvo-pastorale.
Da qui il motivo di quei giacimenti che la dr.ssa Gori nel 1924 definisce “misti” dove cioè manufatti dell’età della pietra antica sono frammisti con quelli della pietra nuova.
Questo naturale rifugio della valle di S. Martino offre qualcosa in più per lo sviluppo di attività silvo-agricolo-pastorali di tali genti neolitiche: pianori collinari naturalmente predisposti al pascolo, presenza di acqua dolce e possibilità di avere sale.
In particolare è importante l’approvvigionamento di sale.
E’ noto che il consumo di sale spinge il bestiame (ovini,bbovini, suini, ecc) a mangiare e a bere abbondantemente e ciò contribuisce a farlo ingrassare e a rendere il latte più abbondante con il formaggio che se ne trae di migliore qualità.Il sale inoltre conserva gli alimenti. E’ probabile che questi primi pastori e allevatori neolitici della vallata di S. Martino e colline circostanti abbiano scoperto e capito che il bestiame che naturalmente pascolava nutrendosi di sale era meglio di quello che non lo usava.
E il sale poteva essere trovato in saline naturali lungo la valle di S. Martino che confluiva nella pianura di S. Giovanni. E’ stato dimostrato presenza di depositi antichi lagunari nell’ampia pianura costiera di S. Giovanni dove saline naturali si potevano sviluppare sin dal tempo neolitico.
Al colle di S.Lucia sono stati recuperati 9 manufatti litici del neolitico: sette cuspidi di freccia, un frammento di ossidiana e un’accetta levigata a tallone appuntito e taglio e margini quasi rettilinee.
(Cfr pg 44-45 di “Isola d’Elba. Le origini” M Zecchini. Ed. S Marco litotipo. Lucca 2001)
A S. Martino da Raffaello Foresi sono state raccolte 8 cuspidi di freccia e un frammento di ascia di pietra verde come riferito nel 1924 da A. Gori nel suo studio dei reperti della collezione Foresi
(Vedi Gori “L’età della pietra nell’isola d’Elba” estratto dell’”archivio per l’antropologia e la etnologia” vol. LIV ,1924,fasc 1-4.Biblioteca comune Portoferraio)
Marcello Camici
Foto di copertina - Frammenti di ceramica impressa neolitica. Museo civico archeologico di Marciana. Ripreso da “Elba. Territorio e civiltà di un’isola” R. Rosolani, M. Ferrari. RS Editore. 2001
Foto 2 - Colline che circondano la valle di Saan Martino e loro pianori. Monte Barbatoia, Monte S. Martino e monte Pericoli
Foto 3 - Valle di S Martino. Colle S. Lucia. Ritrovamento neolitico. Accetta levigata a tallone appuntito e taglio e margini quasi rettilinei. Ripreso da Tav 18 in “Isola d’Elba le origini”. M Zecchini. S Marco litotipo. Lucca, 2001