È prevista alla fine di aprile l’uscita del libro «Il Monte Capanne nella storia» (100 pagine, Persephone Edizioni) a cura dell’architetto Silvestre Ferruzzi.
Il testo esamina la montagna più alta dell’Elba dal punto di vista delle ricerche storiche, botaniche, zoologiche e geologiche che si sono avvicendate dalla fine del Settecento ai giorni nostri. Compaiono inediti aspetti: la «piramide geodetica» sulla vetta del Monte Capanne realizzata nei primissimi anni dell’Ottocento dal governo francese come caposaldo per le misurazioni cartografiche; le approfondite ricerche di illustri botanici come Charles Koestlin, Samuel Brunner, Emilio Marcucci, Pio Bolzon, Giacomo Doria e Stefano Sommier; le pianticelle endemiche della montagna, come la «Centaurea ilvensis» e la «Viola corsica ilvensis», classificate da Piervirgilio Arrigoni ed Hermann Merxmüller; i fondamentali studi di geologi ottocenteschi come Giuseppe Giuli, Igino Cocchi e Joseph Fournet, che definì «granito ilvaico» la roccia costitutiva del Capanne; le osservazioni ornitologiche di Edgardo Moltoni con Valdemar Trettau e quelle entomologiche di Orazio Querci ed Edoardo Gridelli; le guide ambientali «ante litteram» rappresentate, agli inizi del Novecento, da paesani di Marciana e Poggio come Francesco Ricci e Stefano Segnini; e ancora l’importanza della montagna, a cavallo tra Ottocento e Novecento, per i pionieristici escursionisti del Club Alpino Italiano. Infine l’attualità, rappresentata da appassionati «trekkers» come Alessio Gambini e Laura Lucchini, assieme alle segnalazioni ornitologiche di Adriano Costanzo e alle splendide fotografie del Monte Capanne innevato scattate da Sandro Mazzei e Vincenzo Anselmi.
A fine volume, infine, si trova un’appendice che narra storia e vicende dell’albergo Monte Capanne di Poggio, antesignana struttura istituita nel lontano 1946 dal cavaliere Giulio Moneti, oggi divenuta il centro culturale dell’Accademia del Bello fondato dall’architetto Paolo Ferruzzi. Il volume rappresenta un interessante spunto di studio per gli amanti dell’«Olimpo elbano» – come lo definì Paul Gruyer nel 1905 – e per chi ne voglia conoscere dettagliatamente la storia umana ed ambientale.