“Potrei dire che la memoria non ha tempo. Io quel nonno non l’ho mai conosciuto se non attraverso i racconti di mia nonna Elsa e quella foto che teneva sempre sul comodino. Da bambina mio nonno Francesco me lo immaginavo bello e forte, con la sua divisa bianca da militare della marina come era nella fotografia: con il suo sguardo fiero, il mare sullo sfondo e il cacciatorpediniere “Scirocco” dove era stato in missione. Mia nonna Elsa mi diceva sempre che lo aveva visto per l’ultima volta vestito di bianco ma io pensavo che tornasse da un momento all’altro. Quando mio nonno morì mia madre Giuliana aveva appena 10 mesi.
Era mercoledì 26 maggio 1943 quando lo richiamarono anzitempo per raggiungere la batteria di Capo Poro. Lui era un cannoniere specializzato ed era a casa in licenza ma avevano bisogno di lui perché avevano messo in programma per il giorno successivo di fare le prove di tiro. Mio nonno è morto dilaniato dallo scoppio di un cannone insieme a quattro compagni nella prima postazione della batteria E189, quella sotto il faro.
Mio zio Guglielmo andò a fare il riconoscimento dei suoi poveri resti al vecchio cimitero di Marina di Campo. Era il 27 maggio del 1943, sono passati 80 anni ma la memoria non ha tempo e cura il dolore della perdita”.
Francesca Benvenuti ha passato i cinquant'anni ed abita a San Piero come i suoi fratelli Claudio e Maurizio. Vive felice con la sua famiglia ma nessuno di loro ha mai dimenticato il nonno del quale porta il nome e la tragedia che l’ha portato via insieme a quattro militari della Regia Marina che erano in forze all’esercito Italiano durante la seconda guerra mondiale. Alla Batteria E189 prestavano servizio una quarantina di militari sotto il comando di due ufficiali responsabili degli impianti, uno per la Marina e uno per l’Esercito. Alcuni sottoufficiali controllavano le truppe, c’erano soldati elbani e campesi. Altri militari erano arrivati da tutte le zone d’Italia. Una batteria dotata di quattro cannoni da 102/35 per la difesa antiaerea e antinave. C’era una potente stazione fotovoltaica e un impianto aerofono per la fonopunteria. Oggi ci sono ancora tutte le postazioni sulla costa che guarda verso sud e quella che fu teatro della tragedia mostra i segni evidenti dell’esplosione.
Quel 27 maggio del 1943 sarebbe rimasto legato al filo sottile della memoria di qualche anziano campese che all’epoca era poco più che un bambino se non fossero ricomparse delle lettere inedite che un marinaio siciliano di Alcamo spedì nel lontano 2005, all’allora Sindaco, cercando di contattare i parenti del suo amico Francesco Pacini. Si chiamava Vincenzo Cudia e nel momento in cui decise di scrivere quelle lettere aveva ormai 88 anni ma i suoi compagni di Capo Poro continuava a portarseli nel cuore da quel lontano 27 maggio del 1943. Lui poteva ancora raccontarla quella terribile storia perché era un sopravvissuto. Quel giorno, quando iniziarono le operazioni di tiro, in tarda mattinata, intorno al cannone collocato sulla prima postazione della batteria di Capo Poro c’erano cinque dei suoi compagni.
Il cannoniere scelto Francesco Pacini, il sergente Giacomo Mangoni, il cannoniere Pietro Broccio, il sergente Francesco De Luca e il capo cannoniere Domenico Di Martino.
Lui, il marinaio siciliano ventiseienne era andato nella riservetta a prendere le munizioni sotto la postazione che ospitava un cannone 102/35 pronto per essere caricato con munizionamento di guerra. Improvvisamente ci fu un’esplosione, Cudia fu sbalzato fuori e si trovò circondato dai pezzi del cannone e dai resti dei suoi compagni. I cinque uomini che erano intorno al cannone per effettuare le operazioni di tiro non ebbero scampo. Altri tre militari furono sbalzati sulle rocce dall’onda d’urto ma riuscirono a salvarsi.
“Il cannone era sopra di me e un pezzo grosso mi cadde davanti. Con lo scoppio siamo scappati tutti. Il Capitano ci gridava di ritornare ai pezzi ma noi si aveva paura che scoppiasse anche la riserva dei proiettili”.
L’indagine successiva all’incidente accertò un problema tecnico. “…il giorno 27 alle batteria E189 avviene lo scoppio di un cannone da 102/35, come conseguenza della franca detonazione del proietto nell’anima del pezzo, in seguito al funzionamento della catena innescante della spoletta per la deficiente sicurezza della capsula…”
Le lettere di Cudia arrivarono anche al fratello di Francesco Pacini, Guglielmo e alla sorella Rosina e tra di loro ci fu una corrispondenza e uno scambio di fotografie. Ad Alcamo vive ancora la moglie di Vincenzo Cudia, Vincenzina e la figlia Angela.
“Non si è mai dimenticato dell’Elba, dei suoi amici che ricordava ogni giorno – racconta la figlia Angela che fa l’insegnante ad Alcamo -. Ricordava i nomi e i volti dei suoi amici come se li avesse visti il giorno prima. Parlava spesso di Antonio Baldacci e della moglie Leda, della famiglia Mibelli e dei suoi 11 mesi a Capo Poro. Aveva una foto di Francesco Pacini seduto sul cannone. Non si era mai dimenticato dei suoi cinque amici e nella lettera chiese che fossero ricordati con una messa in suffragio. E’ morto nel 2010, aveva 93 anni ma questa commemorazione esprime un desiderio che si è portato nel cuore da quel terribile 27 maggio 1943”.
In questa storia di memoria e di ricordi un grande contributo l’ha dato Mario Tacchella. Durante la seconda guerra mondiale era un bambino, ora sfiora i novantanni con la forza e la lucidità di un trentenne. Il suo lavoro quotidiano sta tra l’orto e la sua pagina facebook dove pubblica foto preziose che raccontano storie di altri tempi. Ricorda bene il giorno dei funerali delle cinque vittime, dei quali ha anche pubblicato le foto, perché era a casa con il mal di gola. “Abitavo in piazza della Fontana, in centro a Marina di Campo, vicino alla Chiesa. Ero un bambino di dieci anni e mi ricordo le bare issate sul carro con la bandiera tricolore della Marina. Quando guardo le foto riconosco molti volti di persone che non ci sono più e sono felice che questa Amministrazione abbia deciso di rendere onore alla memoria di questi ragazzi innocenti”.
Il lavoro di ricerca che ha portato l’Amministrazione a contattare i familiari e a scoprire la corrispondenza è iniziato proprio con la pubblicazione di una foto del capocannoniere scelto Francesco Pacini.
“Grazie a Mario Tacchella e alle sue foto di Capo Poro e dei marinai, i miei collaboratori hanno iniziato a ricomporre quella tragica vicenda e con gli uffici abbiamo individuato un percorso che potesse restituire quel luogo di memoria alla mia Comunità- spiega il Sindaco Davide Montauti-. A dicembre il Ministero della Cultura ha riconosciuto Capo Poro come bene da tutelare e noi abbiamo chiesto di poter esercitare il diritto di prelazione per acquistarlo e poterci realizzare un museo itinerante di storia e memoria".
Nelle foto Francesco Pacini, la riservetta che salvò Vincenzo Cudia, la batteria di Capo Poro ed il giovane marinaio di Alcamo.