In Italia la questione della compatibilità o meno del servizio militare con la dottrina cristiana è venuta alla ribalta in maniera conflittuale negli anni sessanta del secolo scorso, quando Don L. Milani pubblicò il libro “l’obbedienza non è più una virtù” (Libreria Ed. Fiorentina 1965) in polemica con una dichiarazione di alcuni Cappellani militari in congedo che avevano definito “vile e anticristiana” l’obiezione di coscienza.
Vi furono in quel periodo molti giovani che obiettando rifiutarono di indossare la divisa militare e furono per questo perseguiti dalla legge con la carcerazione. Vi furono vivaci reazioni del mondo politico, finché negli anni novanta fu possibile, in alternativa, la introduzione del “servizio civile. A guardar bene il fenomeno della obiezione ha radici molto più lontane da ricercare addirittura nei primi secoli della storia del cristianesimo.
Il libro I CRISTIANI E IL SERVIZIO MILITARE curato da Enrico Picciarelli (Edb) raccoglie in maniera dettagliata le testimonianze dei primi tre secoli. La parte descrittiva dei documenti storici riferiti a cristiani che hanno affrontato il martirio per non impugnare la spada, è preceduta da una introduzione dottrinale in cui fra l’altro “si annuncia esplicitamente la liberazione totale dell’uomo e l’autonomia della coscienza individuale nei confronti del potere politico”. I riferimenti biblici sono una costante, riferiti sia all’antico testamento sia al nuovo. “La guerra nell’antico testamento è un fatto accettato che fa parte del normale rapporto fra i popoli”, ma già nell’ottica dei Profeti la pace, e quindi la cessazione della guerra, è concepita come soluzione definitiva con la trasformazione delle lame in falci e aratri.
“Nella sua novità il Cristianesimo eleva la religione a livello individuale: essa appartiene alla coscienza dell’individuo, ma nello stesso tempo trascende l’individualismo nell’unione con tutta l’umanità”. Così i primi cristiani tendono a demitizzare lo Stato e a maggior ragione la figura dell’Imperatore che veniva espressa con i titoli di dominus e deus. Da questa intolleranza derivano i primi fenomeni di obiezione e quelli di un rifiuto di una coercizione che tendeva a dirigere le coscienze, con il pericolo di una idolatria nella società civile.
Una abbondante storiografia è riportata a sostegno delle ragioni di una avversità all’uso della violenza e delle armi. Fra gli altri autori si riportano brani di Giustino (II sec), Ireneo (II sec), Atenagora (II sec), Clemente di Alessandria ( II e III sec), Origene ( III sec), Tertulliano ( II e III sec).
In appendice al testo sono riportati come acta et passionis veri e propri verbali di processi istruiti contro soldati che si sono rifiutati di imbracciare le armi e per questo hanno subito il martirio. Significativi quello di Massimiliano (p.291) e quello di Marcello (p.303).
Il fenomeno della obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare si esaurisce nel IV secolo con Costantino e con l’inizio del cristianesimo recepito come religione di Stato: così, da allora, l’aquila imperiale diviene “l’uccel di Dio”, come riporta Dante nella Divina Commedia (Par. VI, v. 4). Non vi è più incompatibilità fra l’esser cristiani e soldati dell’imperatore. In seguito la logica della locuzione dello scrittore romano Publio Vegezio ( V sec) “si vis pacem para bellum” ( a significare che è opportuno avere sempre un buon esercito per preservare la pace ) verrà comunemente accettata, e lo è anche oggi a sostegno della politica degli Stati considerati più pacifici del pianeta compresi quelli appartenenti alla NATO.
Mario Cignoni