Il vangelo di questa domenica indica al singolo e alla comunità il comportamento da tenere verso il fratello che sbaglia. Si parla di fratello (non di nemico, parola impossibile per il vangelo e chi vi fa riferimento) e di coinvolgimento, diverso dall'indifferenza o dalla condanna. E non tragga in inganno la frase “se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”. Sembra un invito ad allontanare, ma, se confrontiamo con altri passi del vangelo, ci rendiamo conto che si tratta del contrario: è la pecora smarrita, la pecora che attira tutte le attenzioni del pastore misericordioso il quale non esita a lasciare le 99 pecore nell'ovile per andare alla sua ricerca. Altro che allontanamento: si tratta di vero e proprio infaticabile avvicinamento.
Nel corso della storia, noi seguaci di Cristo spesso abbiamo agito differentemente, escludendo con più o meno raffinati sistemi di giudizio e di steccati. Dimenticando che tutti siamo destinatari dell'amore gratuito (immeritato) di Dio.
Gesù vive e invita a vivere la passione per ogni essere umano, perchè ritrovi la vita qualitativamente bella e buona, spronandolo a cercare nell'autenticità di se stesso il fondamento della sua libertà. Una libertà che è relazionale, perché nessun uomo è un'isola. “La vita – scrive papa Francesco nell'enciclica sociale Fratelli tutti (n. 87) – sussiste dove c'è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c'è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a se stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte”.
Siamo connessi e interdipendenti e proprio la fraternità rappresenta il riconoscimento di questa insopprimibile realtà e la via per viverla in pienezza. Certo, la fraternità richiama prioritariamente la comune paternità di Dio (come Gesù ha manifestato), ma è comunque realtà riconoscibile nella comune appartenenza all'umanità.
Il fratello che sbaglia è quello che si chiude in se stesso, nello sfrenato e insensato individualismo, facendo del male a se stesso e agli altri. Non ci si può voltare dall'altra parte, abbandonandolo alla sua strada. Denunciare il male (il fallimento della propria umanità) è amore per colui che lo compie, oltre che per le vittime. E' atto di responsabilità nella logica dell'amore (vedi la prima lettura del profeta Ezechiele): fare di tutto per liberare nel “malvagio” (operatore di male) la sua umanità, la capacità di vivere autenticamente nella giustizia e nell'amore. In questo modo il bene si espande e toglie ossigeno a ciò che bene non è. Il riflesso sulla società è innegabile, anche se non fa rumore. Ed è visibile dove uomini e donne si sentono debitori di amore vicendevole.
(10 settembre 2023 – 23^ domenica ordinario)
Nunzio Marotti
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.