Il vangelo di questa domenica sconvolge gli abituali criteri di giudizio (“i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”).
Possiamo rispecchiarci nei due figli che divergono nelle risposte e nei comportamenti. Se stiamo nell'ottica della proposta di Cristo, le due risposte verbali (si/no) hanno come seguito comportamenti che le contraddicono. Altrove, Gesù aveva detto che non è sufficiente dire “Signore, Signore” e che occorre desiderare e volere ciò che il Signore vuole (mettere in pratica la Parola): è quest'ultimo il segno dell'appartenenza alla realtà del regno dei cieli (che è comunione con il divino e, in essa, con tutto e tutti).
“Non faccio niente di male” è affermazione diffusa. E' vera in una visione individualistica. Non lo è nella visione personalistica della realtà, dove al centro non c'è l'individuo-monade ma la persona, vale a dire una realtà impastata di relazionalità. La vita è relazione e l'essere umano vive in rapporto (connessione, interdipendenza) con la natura e il mondo, con gli altri, con se stesso e con il Principio (chiamato in modi diversi: Dio, Assoluto, Divino, Energia, Natura, Vita ecc).
Nell'ottica relazionale è ancora possibile dire “non faccio niente di male”? O non bisogna invece riconoscere che in qualche misura sono/siamo corresponsabile/i del male presente nel mondo?
Osservando il quotidiano, si intuisce che ciò di cui godiamo è per gran parte garantito da un sistema planetario che si regge su enormi disuguaglianze. A scuola impariamo le diverse cause di queste disuguaglianze. Spesso le dimentichiamo, le rimuoviamo insieme al fiume di sofferenze e al gemito che pure ci raggiunge attraverso l'informazione. E anche quest'ultima spesso ha delle responsabilità nell'amplificare alcune sofferenze a scapito di altre e nel supportare chi non ha interesse a favorire una consapevolezza che potrebbe portare a critica o ad azioni di cambiamento delle strutture ingiuste dell'attuale sistema mondiale. Tutti consumiamo e acquistiamo e possiamo decidere dell'uso dei nostri soldi, chiedendoci chi e che cosa alimentano: il mantenimento delle disuguaglianze o chi sta lavorando al cambiamento? Il discorso vale per l'inquinamento ambientale, la produzione di rifiuti e l'uso dell'energia, le cui conseguenze negative (climatiche per esempio) ricadono soprattutto sui più poveri, nei Paesi che percentualmente inquinano di meno e che sono anche dotati di minori infrastrutture. E poi, a livello sociale, il silenzio rassegnato davanti alla diminuzione progressiva delle risorse per la sanità pubblica e altri settori e servizi mentre aumentano significativamente le spese per le armi. E l'elenco può continuare.
Di fronte al limite delle risorse del pianeta, è ormai chiaro che il mantenimento dei livelli di vita dei cosiddetti Paesi ricchi (“Nord del mondo”) richiede che l'attuale ordine mondiale non cambi. Insomma, che i Paesi cosiddetti emergenti o poveri (“Sud del mondo”) non accedano alla spartizione delle risorse. E per difendere questa “economia che uccide” (papa Francesco) ogni mezzo viene utilizzato: finanza speculativa, leggi, informazione, repressione, colpi di Stato, guerre.
Inseriti in questo contesto, mi chiedo se sia ancora possibile dire di non essere, in qualche misura, corresponsabili di queste strutture di male (“strutture di peccato” le chiamava Giovanni Paolo II).
Ecco, nelle parole e nei comportamenti dei due fratelli della parabola troviamo indicazioni per una risposta. Il cristiano che riconosce la distanza tra il progetto di Cristo (la fraternità e la cura) e il proprio comportamento, si immedesima nel “pubblicano” (che guadagna sulle spalle degli altri) e nella “prostituta” (relazioni interessate, non gratuite) e quindi va avanti nel regno dei cieli, cogliendo in sé la luce che è l'amore gratuito di Dio per lui/lei e per ogni essere. Da qui comincia il cammino di trasformazione: sente come propria la sofferenza altrui e cerca modi per vivere la compassione per i sofferenti e la condivisione con chi si impegna per cambiare questo sistema iniquo che alimenta il pianto e il grido di gran parte dell'umanità e dell'ambiente.
Sono questioni complesse (facile è l'accusa di semplicismo... ma l'importante è non occultare) e percorsi non facili. Eppure non si deve cedere al senso di impotenza o cadere nella rassegnazione o nella disperazione. Piuttosto, nella serenità interiore (il consapevole stare nel Dio-Amore che non viene meno alle sue promesse; Cristo a un Paolo debole diceva “Ti basta la mia grazia”), scegliere di agire per il cambiamento, generando qualcosa di nuovo o collegandosi a ciò che è in via di trasformazione (per esempio, nella linea degli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030). Con speranza, che è dare un senso al proprio impegno.
(1 ottobre 2023 – 26^ domenica ordinario)
PS – Destra, sinistra, centro... non c'entrano. Tutti siamo coinvolti. Parlare di fine delle guerre, di accoglienza, di giustizia economica e ambientale, è realmente possibile solo se ci decidiamo nei confronti del cambiamento dell'attuale ordine/disordine del nostro pianeta. Altrimenti resta esercizio di difesa degli interessi solo di un decimo della popolazione mondiale. In questo senso, è consigliata la lettura attenta dell'insegnamento sociale di papa Francesco: “Fratelli tutti” e “Laudato Si'” con l'aggiunta di “Laudate Deum” che verrà pubblicata ii prossimo 4 ottobre, festa di san Francesco d'Assisi, patrono d'Italia.
Nunzio Marotti
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.