Ora, alcuni sostengono che gli Ilvates, essendo un popolo di “liguri” dovessero abitare non lontano dalla Liguria. Essi sono influenzati dal pregiudizio che inconsapevolmente portano con sé, ovvero che il toponimo Liguria e l’etnonimo Liguri siano geograficamente coincidenti e non coincidenze omonimiche. In antico, relativamente ai tempi preistorici, infatti, si definivano liguri i popoli che risalendo dall’Iberia verso l’Occitania e la Provenza, lí si attestarono in parte, mentre la restante parte avanzava attraversando tutta l’Italia e mischiandosi con le popolazioni locali. Dettero vita agli Umbri in centro Italia (presso i quali poi si insediarono i Tirseni), ai Corsi (e agli Elbani) nelle isole settentrionali, e ai Siculi in quelle meridionali. Gli Ilvates quindi non erano necessariamente provenienti dalla Liguria, ma erano popoli del gruppo dei liguri. Secondo alcuni il nome latino stesso dell’isola d’Elba – ILVA – sarebbe di origine “ligure”, ligure in senso etnico, non geografico, e secondo alcuni di essi sarebbe derivato direttamente dal popolo che la abitó in tempi remoti, i liguri Ilvates. Ovviamente questa tesi non regge, non perché gli Ilvates fossero attestati sulle Apuane, ma perché il nome Ilvates è piuttosto derivato dal più breve Ilva, e non il contrario, proprio come i Veleiates da Veleia e gli Eleates da Elea, ecc...
Non ci sono prove provate che i due nomi Ilva e Ilvates siano storicamente correlati, ma si puó ipotizzare che lo fossero in base alla loro etimologia. Da dove altro dovevano venire infatti gli Ilvates se non da un posto che si chiamava Ilva?
L’unica ricorrenza da storici antichi è in Tito Livio.
Liv. XXXI 10, 1: Qui vengono menzionate le tribù liguri e l’invasione di Placentia da parte dei Galli sotto la guida di Amilcare. Quando l’attenzione di tutti si era improvvisamente concentrata sulla guerra macedonica, e non si temeva nulla di meno in quel momento, si diffuse la notizia di una ribellione dei Galli. Gli Insubri, i Cenomani e i Boi, dopo aver sollevato i Celini, gli Ilvati e gli altri popoli liguri, sotto la guida del cartaginese Amilcare, che era rimasto in quei luoghi con un resto dell’esercito di Asdrubale, avevano invaso Placentia.
Liv. XXXII 29, 5: Dopo aver completato il reclutamento e le altre operazioni religiose e civili che dovevano essere compiute, entrambi i consoli si diressero verso la Gallia: Cornelio seguì la strada diretta attraverso il territorio degli Insubri, che allora erano in armi insieme ai Cenomani; Q. Minucio, invece, si diresse verso la costa sinistra dell’Italia, piegando verso il mare Tirreno, condusse l’esercito a Genova e iniziò la guerra contro i Liguri. Le città di Casteggio e di ‘Litubium’, entrambe dei Liguri, e due tribù della stessa stirpe, i Celeiati e i Cerdiciati, si arresero. Ormai tutte le popolazioni al di qua del Po, tranne i Boi tra i Galli e gli Ilvati tra i Liguri, erano sottomesse; si diceva che si fossero arrese quindici città e ventimila uomini. Poi il console condusse le legioni nel territorio dei Boi.
Liv. XXXII 31, 4: Nei medesimi giorni fu incendiata Casteggio. Poi le legioni furono condotte contro i Liguri Ilvati, che erano gli unici a non prestare obbedienza.
Qui si fa riferimento ai consoli Gaio Cornelio Cetego e Quinto Minucio Rufo nell’anno 197 a.C. Quindi si fa riferimento alla via Flaminia. Poi alla costa tirrena dell’Italia. Infine si menziona la tribù dei Celeiati.
Segue voce ILVA da vocabolario di Latino, corredata di molte ricorrenze letterarie. Non tutte, manca per esempio Servio “Ilva quidam Ilvam Ithacem dicta volunt” e Ovidio Ex Ponto “Ultima me tecum vidit […] Aethalis Ilva genis”
ILVA (Ἰλούα, Ptol.: Elba), chiamata dai Greci AETHALIA (Αἰθαλία, Strab., Diod.; Αἰθάλεια, Ps. Arist., Philist. ap. Steph. B. sub voce isola del Mar Tirreno, situata al largo la costa dell’Etruria, di fronte al promontorio e alla città di Populonium. È di gran lunga la più importante delle isole di questo mare, situata tra la Corsica e la terraferma, essendo lunga circa 18 miglia e 12 nella sua larghezza massima. è estremamente irregolare, poiché le montagne che lo compongono, e che in alcune parti raggiungono un’altezza superiore a 3000 piedi, sono frastagliate da profondi golfi e insenature, tanto che la sua larghezza in alcuni punti non supera le 3 miglia. da Plinio a 100 miglia romane: lo stesso autore dà la distanza da Populonium a 10 miglia, il che è quasi esatto; ma la larghezza dello stretto che lo separa dal punto più vicino della terraferma (vicino a Piombino) non supera di molto le 6 , sebbene stimato da Diodoro come 100 stadi (12 miglia e mezzo), e da Strabone, attraverso un errore enorme, a non meno di 300 stadi. (Strab. v. p.223; Diod. 5.13; Plin. iii.; 6. s. 12; Mel. 2.7.19; Scyl. p. 2.6; Apoll. Rhod. [p. 2.40]iv, 654.) Ilva era celebrata nell’antichità, come lo è ancora oggi, per le sue miniere di ferro; questi furono probabilmente lavorati fin da tempi molto antichi dai Tirreni della costa opposta, e furono già notati da Ecateo, che chiamò l’isola Αἰθάλη: infatti il suo nome greco era generalmente considerato derivato dai fumi (αἰθάλη) delle numerose fornaci impiegato nella fusione del ferro. (Diod. 5,13; Steph. B. sub voce Al tempo di Strabone, tuttavia, il minerale di ferro non veniva più fuso nell’isola stessa, la mancanza di combustibile costringeva gli abitanti (come avviene ai giorni nostri) a trasportare il minerale fino all’opposta terraferma, dove veniva fuso e lavorato per essere adibito a scopi commerciali. L’inesauribile abbondanza del minerale (a cui allude Virgilio nel verso “Insula inexhaustis Chalybum generosa metallis”) ha fatto pensare che crescesse di nuovo con la stessa rapidità con cui veniva estratto dalle miniere. Aveva anche il vantaggio di poter essere estratto con grande facilità, poiché non è sepolto in profondità sotto la terra, ma forma una collina o una massa montuosa di minerale solido. (Strab. l.c.; Diod. l.c.; Verg. A. 10.174; Plin. Nat. 3.6. s. 12, 34.14. s. 41; Pseud. Arist. de Mirab. 95; Rutil. Itin. 1.351–356; Sil Ital. 8.616.) Le miniere, che sono ancora ampiamente sfruttate, sono situate in un luogo chiamato Rio, vicino alla costa orientale dell’isola; essi presentano in molti casi testimonianze inequivocabili delle antiche lavorazioni.
L’unica menzione dell’Ilva che ricorre nella storia è nel periodo a.C. 453, quando apprendiamo da Diodoro che fu saccheggiata da una flotta siracusana al comando di Fello, per vendetta delle spedizioni piratesche dei Tirreni. Avendo Fallo ottenuto ben poco, fu inviata una seconda flotta al comando di Apelle, che si dice fosse diventato padrone dell’isola; ma non rimase certo soggetta a Siracusa. (Diod. 11,88.) Il nome viene nuovamente menzionato incidentalmente da Tito Livio (30,39) durante la spedizione del console Tib. Claudio in Corsica e Sardegna.
L’Ilva ha il vantaggio di diversi ottimi porti, tra cui quello sul lato settentrionale dell’isola, ora chiamato Porto Ferraio, era conosciuto anticamente come PORTUS ARGOUS (Ἀργῶος λιμήν), dalla circostanza che si credeva che gli Argonauti avessero vi toccarono durante il viaggio di ritorno, mentre navigavano alla ricerca di Circe. (Strab. v. p.224; Diod. 4.56; Apollon. 4.658.) Notevoli rovine di edifici di epoca romana sono visibili in un luogo chiamato Le Grotte, vicino a Porto Ferraio, e altri si trovano vicino a Capo Castello, a NE. estremità dell’isola. Le cave di granito nei pressi di S. Piero, nel sud-ovest. sembra che anche parte dell’Elba sia stata ampiamente lavorata dai Romani, sebbene non se ne trovi notizia in nessuno scrittore antico; ma rimangono ancora numerose colonne, vasche per fontane e altri ornamenti architettonici, interamente o in parte scavati nella cava adiacente. (Hoare, Class. Tour, vol. i, pp. 23-29).
Angelo Mazzei