Domenica 14 gennaio alle ore 17,30 nella sala del Circolo Ricreativo di Carpani a Portoferraio si terrà la presentazione del nuovo libro di Danilo Alessi "Orme di un viandante nei sentieri del '900. Storie vissute e racconti nello scenario dell'Isola d'Elba e a tratti anche al di là del mare".
Saranno presenti insieme all'autore Lilia Guizzardi, presidente del Circolo di Carpani, Silvia Leone, coordinatrice, Franco Cambi, relatore e Angela Galli, editrice.
Nell'occasione si potrà assistere alle letture di Anna Durante, il canto e la musica di Cristina Cioni e Rossella Celebrini e alla danza di Antonella Colli e Franco Ascione.
Di seguito pubblichiamo integralmente l'introduzione al libro di Cristiana Torti:
“E POI?” MEMORIE POLITICHE E PERSONALI DI UN COSTRUTTORE DI CULTURA
“E poi?”
L’interrogativo, lanciato da un noto giornalista elbano e riferito alla formidabile storia dell’Estate romana di Renato Nicolini, potrebbe essere il filo rosso, taciuto se non clandestino, di questo libro. Il quale, alla fine, vuoi con inquadrature frontali, vuoi di sguincio, vuoi con zoom al volo, come la giri la giri punta sempre sull’Elba.
Perché leggendo e mirando, tra gl’interminati impegni politici e i sovrumani rumori di feste mobili e movimentate (mi perdoneranno i poeti le blasfeme citazioni), il cuore batte lì, sull’Elba. Anzi, il cuore E’ l’Elba.
Ma cominciamo dall’inizio, come si deve. Il bel lavoro di Danilo Alessi si snoda attraverso varie sezioni. Comincia con le “Storie elbane”, che sconfinano nei “Sentieri nel mondo”; passa attraverso alcuni grandi “Personaggi”, per approdare a una parte più personale e intima, con “Donne”, “Io allo specchio” e “Divagazioni sul tema”, nella quale si trovano anche delle poesie e articoli già pubblicati su riviste locali.
Si tratta dei pezzi di un unico puzzle, che tutti si tengono perché documentano la possente sfaccettatura di una vita intensa, che ha mischiato cultura, politica, amore, amicizia, memoria, sempre avendo davanti un largo orizzonte vitale, una aperta curiosità e una coraggiosa voglia di riflettere su se stessi e su tutta una generazione. Con toni e accenti che vanno dall’ironia alla commozione, dall’ammirazione al ricordo familiare o personale, i flash di una vita vengono ripercorsi e distesi quasi sempre con una serena nonchalance, e con uno stile quieto, volutamente semplice e sottotono, a volte distaccato, nel quale le emozioni restano presenti e forti ma vengono velocemente contenute (“cose mie, poi ti spiegherò”, p.15) e le fatiche o difficoltà sembrano scorrere con leggerezza.
Chi legge, forse, sceglierà dei tratti con cui si troverà più in sintonia, o delle storie in cui si riconoscerà; se non è troppo giovane, forse qui reincontrerà amici o colleghi cari ora svaniti.
Ci sono nel libro almeno due punti fermi: del primo si è accennato, ed è la vastità, ben raccontata, di una vicenda umana e politica che non deve essere dimenticata per la sua intensa significatività. E l’altro è l’isola, scenario costante se non perenne, di vicende che comunque ad essa in qualche modo si allacciano. L’Elba, vivacissimo cuore di roccia che come un burattinaio tiene i fili di vite, di culture, di persone che qui si coagulano. Trovando qui, e solo qui, l’indispensabile reagente.
L’indice sopra menzionato dà conto del contenuto e lo introduce. Mi piace però soffermarmi su un elemento mai platealmente espresso, ma sempre ammiccante dietro l’angolo, che proprio per questo mi ha fatto riflettere e può spiegare l’incipit della introduzione.
Conoscendo alcuni “elbani”, per nascita o per scelta, e avendo per motivi di lavoro frequentato un po’ l’isola, non avevo dubbi sulla ricchezza del tessuto culturale che vi alligna, sulla diffusa e ben digerita passione politica, sul sarcasmo tagliente di battute a go-go. Ma in questo testo c’è di più. E tra le pieghe del divertissement politico di una bandiera sbagliata e del boomerang di un malpensato e malriuscito arrembaggio a “Totanino”, o dietro il gracidio stridulo di una radiolina a transistor scagliata per terra il giorno del maledetto attacco sovietico a Praga, ecco, tra questi e mille altri episodi, piccoli o grandi o anche insignificanti, si staglia in tutta la sua forza la “grande politica”. La politica alta, se non altissima. Quella fatta di passione, di impegno, di moralità e di straordinaria generosità. Quella incarnata da grandi e indimenticati dirigenti nazionali (spesso in transito all’Elba), e anche da capaci quanto modesti dirigenti locali, quelli che lavorano seriamente senza mettersi in mostra ma costantemente si danno da fare per la collettività e per il proprio territorio. E spengono la luce la sera quando chiudono l’uscio.
Ne ho conosciute molte di queste persone, per età e per adesione politica. E, naturalmente, al centro di tutto questo c’era un partito, che, giusto perché ormai non c’è più, possiamo senza esitazione definire grande, grande pure nelle sue contraddizioni e nei suoi errori a volte laceranti: il partito comunista italiano. Che, insieme all’autore e all’isola, è il terzo grande attore del libro e il protagonista invisibile di molte storie.
Tanti episodi, in questo libro, tratteggiano grandi dirigenti politici del partito comunista, episodi in genere inediti, toccanti o divertenti.
Per non rovinare il piacere della lettura, accenno soltanto al quasi naufragio di Berlinguer (qui familiarmente “Enrico”), rintanato sottocosta a causa del vento insieme al fratello Giovanni e ignoto ai radar, con relativo scatenamento di motovedette in cerca e col ministro Cossiga con le mani nei capelli all’epoca ancora neri; o il divertente gogoliano scambio di cappotto compiuto dall’allampanato Fassino, che per distrazione e incurante del freddo se ne mise uno che a malapena gli faceva da giacca; o la inarrestabile alacrità di Fabio Mussi, con cui l’autore ha collaborato. Ci venivano in tanti all’Elba, isoletta vicina, tranquilla e controllabile: Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Pajetta…dirigenti dall’orizzonte intellettuale e morale indiscutibile.
Fu realizzata qui, nell’acqua cristallina delle Fornacelle, la poi famosa foto di Berlinguer e Napolitano a torso nudo e a mollo nell’acqua bassa, mutandoni poco eleganti ma conversari fitti fitti. Icona di una politica che non c’è più.
Ora, sotto questo sole, vero e metaforico, e in una simile atmosfera non risulta poi così strano che proprio all’Elba il futuro premio Nobel Dario Fo rappresentasse “Il mistero buffo”, suscitando lo sdegno del “benpensantume clericale” (p.11); né risulta più di tanto bizzarro che Andrea Andermann, noto regista di origine albanese, si mettesse in testa di proiettare proprio alla Linguella il Napoleon di Abel Gance, risistemato, organizzando una prima spettacolare alla presenza della banda e di un folto pubblico. Spettacolarmente interrotta da un imprevedibile e increscioso temporale estivo.
Né suona strano che Oreste del Buono, che l’isola moltissimo amava, intervenisse a gamba tesa arrivando poi di volata sull’isola per scongiurare interventi urbanistici non consoni, per stopparli con tutto il peso della sua notorietà.
Perché in questa “non isola”, come diceva Gaspare Barbiellini Amidei (“non è mica un’isola, ma è una patria strana, completa, non separata da null’altro che si possa fare o desiderare” p.161), in questa non isola c’era una classe dirigente locale elevata, per serietà e livello, che aveva il coraggio di rischiare, e che si era guadagnata la stima di grandi personaggi della politica e della cultura.
Un sostrato che non può non aver influito sul fatto che, a un certo punto, il Partito comunista nazionale si lanciò nell’avventura di organizzare all’Elba nel 1986 una Festa nazionale, “Primo mare sull’altra faccia dell’Elba”. Un azzardo assoluto, forse affrontato a cuore abbastanza leggero sulla scia del successo clamoroso che, nel 1982, aveva riscosso la Festa Nazionale organizzata a Pisa, la prima delle feste realizzate in piccole città.
Scrissero e parteciparono molti intellettuali: Gianni Baget Bozzo, Diego Novelli, Paolo Volponi, Oreste del Buono, Gin Racheli, Gaspare Barbiellini Amidei e Pio Baldelli ….Si discusse, con grande anticipo, di ambiente ed energia, con Giorgio Nebbia, Vera Squarcialupi, Chicco Testa e altri.
E chi poi se la dimentica la rivista con la copertina azzurra a onde inventata da Oriano Niccolai e realizzata con la sua solita sapienza grafica?
Perché il modello era quello: gli intellettuali, gli studiosi e gli esponenti della cultura in genere trovavano un referente naturale nel partito comunista e per esso si mobilitavano e si prestavano, mentre l’Elba, con il suo sostrato fortificante di dirigenti politici, sindacali di alto livello e di operatori culturali coraggiosi, capaci se non geniali, offriva garanzia di successo.
Ne uscivano splendidi frullati di cultura. E in tutto questo Danilo Alessi era un pilastro portante, un costruttore.
Non c’è solo politica, in questo libro, ci sono ricordi di amicizie internazionali, racconti e testimonianze di famiglia e di chi in famiglia partecipò alla guerra; ci sono ritratti affettuosi e profondi di personaggi indimenticabili come Ivano Tognarini, storico di vaglia con studi che hanno spaziato dal fascismo all’archeologia industriale, o come Ivan Della Mea, con le canzoni che hanno fatto storia e scandito tante lotte; c’è l’affresco delizioso e tagliente su Vittorio, che sbeffeggiò un commissario di polizia e “lasciò in eredità il suo pensiero”, che altro non aveva; ci sono ragazze sensuali e amori repentini, antiche storie di amori finiti male e segni purtroppo tangibili dell’incidente che strappò la vita alla giovanissima Grazia Candeloro, figlia di uno dei massimi storici del Novecento; ci sono persecuzioni fasciste e lotte operaie contro la chiusura del cementificio, e altro ancora.
E torno all’interrogativo iniziale, un po’ malinconico. E poi? E poi? Dove è finito negli anni tutto questo? Che cosa ha prodotto?
E poi? E poi i partiti, come del resto aveva previsto Berlinguer, si sono pressoché autodistrutti, alcuni non ci sono più, altri sono molto cambiati. La militanza si è rarefatta, la classe dirigente politica ha ondeggiato e anche ora ondeggia senza nave né porto. Quella stagione indimenticabile, poderosa, con tutti i suoi protagonisti, ha certo lasciato e lanciato dei semi; ma forse non così tanti quanti avrebbe potuto. O forse li ha portati via il vento che all’Elba non manca.
Nostalgia? Ma no. Solo la coscienza di un periodo d’oro che per adesso non è stato eguagliato né da stanchi gattopardi né da rampanti muniti di fuochi d’artificio.
Però c’è stato, ed è giusto ricordarlo. Bisogna ringraziare chi, come Danilo Alessi che ne è stato uno dei più significativi rappresentanti, ha avuto la pazienza di raccontare.
Leggerlo fa bene.