Abbiamo visto che spesso il peggio di loro molti elbani lo hanno dato nei periodi di scontro sociale. Ma bisogna essere chiari. Oggi tutti concordiamo che la lotta più civile è quella nonviolenta, profetizzata da Ghandi. Ma dobbiamo essere onesti intellettualmente. Se ci guardiamo intorno, tutto quello che facciamo quotidianamente, tutte le libertà e i diritti acquisiti, da quelli di cittadinanza a quelli lavorativi, sono passati sicuramente da illuminati frutti del pensiero umano, inizialmente propugnati da pochissimi progressisti, che spesso dovettero pagare con la vita o subire immonde persecuzioni, ma anche (e forse soprattutto) da grandi spargimenti di sangue. Non si può negare a Karl Marx la giustezza del suo famoso ragionamento sulla violenza come levatrice della storia.
Riportando il discorso all'Elba, bisogna considerare qualche cosa. Le miniere sono state sicuramente la nostra fortuna, ma nel loro ultimo secolo di attività hanno conosciuto tutta la protervia della gestione capitalistica. Sarebbe consolante pensare che i nostri nonni avessero contrapposto a essa una lotta pacifica, oltretutto in anni in cui essa era promossa da pochissimi idealisti. Non è così. Perché dall'altra parte c'era un padronato arrogante e ricattatore, e autorità che per ristabilire l'ordine usavano senza scrupoli la brutalità.
Cosa si poteva contrapporre se non altrettanta brutalità? Forse una resistenza passiva? No, era un lusso che spesso ai nostri nonni non era permesso. Ma è anche da ingenui pensare che in uno scontro che a tratti assumeva le forme di una guerra civile a bassa intensità, i nostri avi mantenessero tutti i nervi saldi e non scivolassero in eccessi crudeli. Ecco alcuni esempi.
Nel luglio 1902 uno sciopero a Rio Marina vide la partecipazione di 900 cavatori, tra cui i fabbri e gli addetti al trasporto del minerale, e durò 18 giorni. Fu soprattutto la mancata promessa della società Elba di aprire la cooperativa di consumo aziendale a scaldare gli animi, tanto che gli operai dettero l'assalto agli uffici della direzione in cerca di un assistente tecnico, che però si era prudentemente dileguato. Fu mobilitata la sicurezza pubblica, tra carabinieri e una compagnia di bersaglieri, per mantenere l'ordine nei due centri riesi. La tensione era infatti decisamente alta, tanto che ci fu un ferito alla coscia, Corrado Giordani.
La sera del 20 luglio le proteste degenerarono. Il delegato di pubblica sicurezza aveva negato alla banda musicale socialista di sfilare per le vie del paese. Le proteste degli operai sfociarono in una sassaiola e i carabinieri aprirono il fuoco, uccidendo una quindicenne, Giuseppina Mazzei, e ferendo gravemente Filippo Fornari, di 75 anni, e Costantino Ridi, detto Giotto, di 42 anni. I lavoratori riesi e capoliveresi scesero in sciopero per tre giorni, e l'autorità procedette all'arresto di 17 persone, tra cui una donna, con l'accusa di sedizione. Il ministero dell'interno mandò anche un ispettore per far luce sui fatti.
Ad agosto, sempre nel paese minerario, ci fu un altro momento di tensione. Durante un comizio, Giovanni Gronchi, futuro presidente della repubblica, ebbe un contraddittorio con due organizzatori anarcosindacalisti, tali Mondini e Agarini. I due attaccarono duramente la borghesia e inneggiarono alla rivoluzione, mentre i loro partigiani impedivano a Gronchi di replicare, tra grida, imprecazioni e tafferugli. Il commissario di pubblica sicurezza fece sciogliere il comizio, e i carabinieri si accinsero a sgombrare la piazza, quando, in prossimità degli Archi, fu fatta esplodere una carica esplosiva, che ferì un carabiniere.
Si nota che tra gli arrestati e i protagonisti delle agitazioni ci sono anche donne. Già nell'”Epica degli ultimi elbani” abbiamo visto che le elbane non erano in una posizione subalterna nei momenti di protesta, ma spesso le protagoniste combattive. E in quella situazione di scontri violenti, al pari degli uomini, c'erano anche tra le donne autentiche teste calde. Che potevano creare situazioni esplosive. Nell'agosto del 1911, durante il grande sciopero, a Portoferraio, in piazza Cavour, un gruppo di donne si scaglia contro un impiegato della società Elba, Michele Darmanin, accusandolo di essere un crumiro. L'uomo arriva a temere così tanto per la sua incolumità che estrae una pistola e spara, molto probabilmente in aria, dato che per fortuna non ci sono feriti. Ma comunque scatenando il caos, tanto che deve intervenire la forza pubblica per salvarlo dal linciaggio.
Anche questo erano le nostre nonne e i nostri nonni. Ma se gli elbani del passato arrivavano a gesti estremi avevano almeno la giustificazione di migliorare la loro sopravvivenza. E hanno gettato le basi per i nostri attuali diritti e ricchezze. Noi invece ci abituiamo quotidianamente a violenze del tutto gratuite, spesso accettiamo senza protestare le nefandezze del potere. E come se tutto ciò non ci riguardasse. Allora chiediamoci: noi, che ci autoassolviamo in base a non si sa cosa, che ci reputiamo i più buoni e migliori, possiamo accampare una giustificazione?
Andrea Galassi