I polpi hanno tre cuori e nove cervelli, esplorano il mondo del mare con sensi a noi sconosciuti e hanno un’intelligenza aliena, moltiplicabile per la loro brevissima vita e per le loro granfie. Se campassero di più avrebbero probabilmente fondato una repubblica del mare e un impero dell’oceano e avrebbero ambasciatori in qualche acquario a Washington, Mosca Pechino e Roma e un rappresentante all’Onu.
Ma i polpi dai 3 cuori e 9 cervelli campano poco, muoiono dopo le zuffe amorose e cannibali e dopo le cove sfibranti delle femmine in piccole grotte sottomarine, tappate con conchiglie e coralli, dove sventagliano a digiuno grappoli d’uova come festoni di una natività che strisciava in mare quando gli uomini ancora non c’erano.
Luchino non sapeva niente di tutto questo, se non quello che gli interessava per la pesca e la cottura, eppure conosceva i polpi meglio degli scienziati. Col capo nel suo specchio tondo, remando il guzzo con una mano o un piede, schisando scogli e secche, scrutava sul fondo, tra i sassi, l’alghe e l’erbino, i segni invisibili dei polpi, vedeva le tane nascoste delle femmine e i maschi irascibili invisibili, fondo sul fondo, colore uguale al colore, tubercolo rigonfio per rigonfiamento asperità dei sassi, conchiglia e foglia marina.
Luchino non conosceva la scienza dei polpi ma ne conosceva la vita, il carattere e la perdizione e ogni cala di polpaia e di straccio bianco era una sentenza tra gli scogli neri della Madonnina e quelli gialli del Nasuto.
Luchino sapeva come si ammazza il polpo strisciante e sbalordito, sputante rabbia e inchiostro, che cerca di fuggire dalla sua galera galleggiante, sapeva dove addentare il ceppicone, dove il cervello o il cuore smettevano di vivere, spegnendo scuffia e granfie.
Luchino sapeva quanto sale andava nell’acqua, quanto bisognava ciuttare i luglierini o i grandi polpi rossi nell’acqua bollente prima di lasciarli a cuocere, a farli arricciare come un frutto marino, con pementina abbondante. Luchino sapeva quanto costavano le granfie a seconda della stagione, della fame e dell’arsura di vino, sapeva dove era il panchino di granito giusto per distribuirle, nelle poche forchette tenute nell’acqua di un bicchiere, ai molti giocatori di padrone e sotto che addentavano come un rito gommoso e svirgolante il tentacolo caldo e piccante.
Ma Luchino, la cui parsimonia era leggendaria, sapeva anche che un sasso dentro la scuffia appesantiva il polpo sulla bilancia per farci qualche lira in più.
Con l’età era diventato ancora più schivo e solitario, quasi come un vecchio polpo collerico che pattugliava il fondale, tra lo scalo del Cotone, dove piano piano il suo guzzo seccava e marciva di sole, pioggia e salsedine, e la sua casa che guardava gli scogli dell’Omo, dove si era rintanato come una polpessa e covare le uova non schiuse della sua vita.
Quando Luchino se ne è andato, ne sono convinto, i polpi con 9 cervelli e 3 cuori hanno reso l’onore delle armi al nemico, hanno detto una preghiera con parole che non sentiamo a un Dio sconosciuto con mille tentacoli e con tutti i colori dell’Universo. E ora la nazione dei polpi tramanda la leggenda di Luchino nei geni della sua discendenza che non conosce padri e madri.
Umberto Mazzantini