Ormai è totalmente caduta la formula di “buio Medievo”, retaggio della cultura rinascimentale. Oggi sappiamo che il Medioevo fu tutt'altro che buio, ma un periodo di grande vivacità sociale e culturale. E che anzi amava rappresentarsi con opere artistiche piene di luce e colore, nonostante ancora oggi brutta cinematografia e letteratura lo dipingano in toni cupi e claustrofobici.
Per quanto riguarda l'Elba invece esiste davvero un buio medievale, nel senso di una scarsità di documenti del periodo: a differenza di località vicine, come la costa toscana e la Corsica, le cui vicende medievali sono più facilmente ricostruibili, per la nostra isola è un quasi totale silenzio. Questo ha portato a ipotizzare un collasso sociale ed economico, soprattutto delle sue miniere, che copre quasi un millennio, dall'impero romano all'XI secolo. Ma com'è possibile che il nostro ferro, tanto celebrato da autori antichi, venga snobbato? E così a lungo, per giunta? Adesso qualche indicatore archeologico ci dice che l'attività estrattiva potrebbe essere stata più assidua di quanto non si credesse.
Recenti ipotesi hanno lasciato intravedere la possibilità che il ferro fosse ancora estratto nel Tardo antico. D'altra parte anche se sembra vero che con la caduta dell'impero romano la società elbana pare avvitarsi in un periodo di crisi, con ripercussioni sull'aspetto demografico e ovviamente su quello economico, è difficile pensare che in una situazione mediterranea tutt'altro che immobile, il ferro elbano non interessasse più nessuno.
E infatti sembra che il minerale isolano rifornisse la fabrica imperiale di Lucca, in cui si forgiavano armi per gli eserciti di stanza in Italia e nell'Illirico. Scrive Maria Elena Cortese: “Probabilmente l'ematite era trasportata con navi sulla costa di Follonica e di Campiglia, dove subiva una prima riduzione: da qui, ancora via mare, i semilavorati giungevano al Porto Pisano e via terra a Lucca, dove avveniva la lavorazione finale. Tale sistema pare in crisi già in età teodoriciana (512-526 d. C.) e durante la Guerra Greco-Gotica l'Elba sembra avere avuto soprattutto il ruolo di piazzaforte militare, dalla quale i Bizantini controllavano le isole e alcuni punti della costa”.
Nella seconda metà del VI secolo l'isola passa dalla sfera bizantina a quella longobarda. È anche questo un periodo nebuloso, in quanto mancano documenti e dati archeologici, e risulta difficile dire cosa avvenisse nel nostro territorio. Tuttavia anche sotto il governo longobardo ci sono indicatori per poter affermare che qualcosa restava operativo nell'economia legata al ferro elbano. Infatti Cortese rileva la presenza di ematite isolana in stratigrafie di centri siderurgici toscani, già nel VII secolo, tanto da affermare: “Queste tracce indicano che già dall'età longobarda il minerale estratto dalle miniere elbane – in quantitativi sui quali è impossibile fare congetture – arrivava allo stato grezzo sulla terraferma, per essere lavorato in luoghi che era relativamente facile raggiungere su via d'acqua”.
È però dal secolo successivo, e soprattutto dal IX secolo, che gli indicatori si fanno più consistenti. Tracce di ematite isolana si riscontrano in ferriere di Follonica e Pisa, città che già in questa fase sembra iniziare la sua penetrazione sull'Elba. È interessante ravvisare, come fa Cortese, dell'inserimento della nostra isola in un sistema di gestione delle risorse minerarie, facente capo a un potere regio o comunque di alti funzionari: “Lo spostamento di minerale grezzo dall'isola d'Elba verso vari luoghi sulla terraferma, infatti, presupponeva un certo livello di organizzazione, la disponibilità di imbarcazioni adatte e l'esistenza di rotte rodate che collegavano le isole dell'arcipelago toscano, gli approdi della Tuscia meridionale e il porto di Pisa”.
Un potere, una gestione o un sistema di amministrazione che potrebbe anche essere di stampo religioso. E più segnatamente riguardante la diocesi di Populonia. Infatti i primi documenti che sanciscono la piena legittimità di padronato sul minerale elbano sono dell'XI secolo: nel 1066 una bolla del papa Alessandro II assegnava cospicue decime minerarie, a carico dei cavatori elbani, e spettanti al vescovo di Populonia (è stato ipotizzato che potessero essere sull'ordine di un quarto del minerale escavato), la cui dignità metropolitica passava all'arcivescovo di Pisa, nel 1138, col suggello del papa Innocenzo II. Tra l'altro, nel momento in cui le miniere passano sotto la gestione della repubblica, il pagamento alla diocesi populoniese cessa, ma nel 1372 il vescovo torna a richiederlo, reclamando addirittura gli arretrati degli ultimi cinquanta anni e minacciando di ricorrere contro i cavatori. Il comune di Pisa però replicò che ogni diritto e proprietà delle miniere spettava solo a sé stesso, e che quindi non doveva esazione ad alcuno. Questo episodio la dice lunga su quale partita si fosse disposti a giocare pur di mettere le mani su un affare lucroso quale il ferro isolano.
Non sappiamo quando abbia inizio questa influenza della diocesi populoniese sulle miniere elbane. Ma potrebbe essere da molto prima del documento ufficiale del 1066. Forse addirittura in epoca longobarda. A questo proposito è interessante un'ipotesi di un recente studio, “Un monastero sul mare” (2016). Gli autori rileggono la famosa fuga all'Elba di san Cerbone, vescovo di Populonia nella seconda metà del VI secolo, spogliandola dei toni agiografici tipici dei racconti religiosi, per attenersi al quadro storico. E ipotizzano che il presule santo non si fosse spostato sull'isola per le violenze longobarde che affliggevano la costa toscana, come tutti vogliono ma di cui non si hanno riscontri storici. Bensì per affermare la primazia della sua diocesi sulle miniere, “da un interesse specifico a mantenere il loro controllo e tentare di perpetuarne lo sfruttamento”.
In ogni caso dall'XI secolo l'intreccio tra le miniere e la repubblica pisana è ormai chiaro, e i documenti mostrano limpidamente questa fase. Che nei successivi due secoli rappresenterà per l'isola un ottimo momento sia per l'industria estrattiva che per la metallurgia, con benefici ovvi per la società.
Andrea Galassi
ps. Gli studi più interessanti sul ferro elbano del periodo altomedievale sono stati compiuti da Riccardo Francovich e Maria Elena Cortese. Di quest'ultima si trovano interessanti contributi su academia.edu. Segnalo soprattutto questo:
https://www.academia.edu/105273497/Beni_fiscali_e_attivit%C3%A0_minerario_metallurgiche_nell_Italia_centro_settentrionale_secc_VIII_XI_Reti_Medievali_Rivista_24_1_pagg_251_283_http_www_serena_unina_it_index_php_rm_article_view_9849
Lo studio “Un monastero sul mare”, edito per i tipi dell'Insegna del giglio, si può leggere anche online qui:
https://www.insegnadelgiglio.it/wp-content/uploads/2017/03/un-monastero-sul-mare-open-access.pdf
Infine, sull'ormai deteriore formula di “buio Medioevo”, mi piace segnalare il saggio di Umberto Eco “Storia della bellezza”, Milano, 2004, dove si illustra molto bene soprattutto l'arte medievale, piena di luce e colore, contrariamente alle credenze.