Fabio Volo è ormai al suo dodicesimo romanzo, è ora che la critica si domandi le ragioni del suo straordinario successo di pubblico: che cosa c’è nei suoi libri che piace tanto ai lettori? Così un autorevole critico letterario e scrittore come Walter Siti si esprimeva sul quotidiano ‘Domani’ in occasione dell’uscita del dodicesimo romanzo di quello che potremmo definire il fenomeno della letteratura italiana e vincitore del nostro Premio nel 2010.
Poi continuava: Volo è politicamente corretto nella sostanza ma irriverente nel modo di porgere; se fosse un politico sarebbe uno di quei socialdemocratici disinvolti e cool del Nord Europa, attentissimi ai diritti civili e geneticamente incapaci di estremismo.
Il suo Wikipedia recita: attore, scrittore, conduttore radiofonico, conduttore televisivo, sceneggiatore e doppiatore italiano. Io aggiungerei ‘poeta’, non tanto nel senso comune dell’accezione del termine, poiché non mi è giunta notizia di suoi componimenti in rima, almeno pubblicati fino ad ora, quanto piuttosto per il significato etimologico del termine, ossia ‘poeta’ dal greco antico ‘poieo’, colui che fa. Perché Volo di cose ne ha fatte davvero tante.
Il suo ultimo volume, che come al solito balzerà ai vertici delle classifiche di vendita, ‘Balleremo la musica che suonano’ (Mondadori, 2024), frase spesso ripetuta nelle difficoltà dall’amato padre, rappresenta di sicuro una novità nella produzione letteraria del Nostro, essendo un racconto alquanto dettagliato della sua vita, ovvero una autobiografia in tutto e per tutto.
La cosa che sconcerta di più nel libro è una vibrante sincerità che traspare da ogni pagina di questo piccolo grande diario, nel quale si confessa e confessa al mondo intero dettagli anche intimi e personali legati alla sua famiglia. In particolare la tormentata relazione affettiva col padre che conclude anche in modo ironico il volume raccontando il loro ultimo incontro nella camera mortuaria.
Nel leggere il libro l’ironia la fa da padrona in ogni piega del testo e in ogni aneddoto raccontato, come nella parte relativa ai suoi primi viaggi a Londra e a New York, dove il minimo comun denominatore possiamo dire fu la faticosa esperienza subita non certo da turista di lusso oppure la vicenda della sua prima fidanzata, che poi ritorna in una fase successiva della sua vita, fornendogli una occasione di stimolo per il suo immane desiderio di affermarsi. Una fame incontrollabile, attenzione, non di notorietà ma di realizzazione di sé stessi nel tentativo costante di emanciparsi dalla sua condizione di persona intrappolata in una cittadina di provincia come Brescia, che ben conosco nei suoi pregi e nei suoi taglienti difetti.
Il filo conduttore del testo è certamente duplice: il rimpianto e il riscatto, ossia in primis il rimpianto per un rapporto da sempre difficile verso un padre dalla vita tormentata e complessa che solo nell’ultima fase della vita di lui si è risolto (Volo lo ricorda, citando un messaggio del papà, grato per quello che aveva fatto da figlio per lui) e il riscatto verso quella vita di provincia da cui aveva sempre voluto fuggire. Non tanto e non solo dalla vita da panettiere che gli si era prefigurata sin da piccolo, quanto piuttosto per come le difficoltà finanziarie della famiglia avevano nel tempo contribuito a rendere insopportabile un certo clima in famiglia, indi per cui segue la divertente narrazione delle sue prime esperienza da cantante, animatore e poi in forma più stabile di DJ, fino all’approdo alle Iene di Italia Uno, dove si afferma. Interessante oltre al rapporto con il padre è anche quello che instaurò con lo scrittore, sceneggiatore e autore bresciano Silvano Agosti, oggi ottantaseienne, (autore con Bellocchio che ne fu regista del famoso ‘I pugni in tasca’, tra l’altro) che gli regalò in panetteria il primo libro che Volo lesse da ragazzino, uno dei suoi, dicendogli che era perfetto per chi non amava leggere. Da quell’incontro però nascerà l’amore del Nostro per la lettura, tanto ne è vero che nel libro appena edito alla fine c’è pure una ‘pagina dedicata ai libri sulla mensola per i suoi figli’, ove troviamo da Hesse a Pirandello fino a Mann.
C’è molto della persona Fabio nel testo e leggendolo senti la sua presenza, avendolo io frequentato poco ma intensamente in occasione del Premio La Tore 2010, a proposito di ciò che ha scritto Siti, per ora l’unico riconoscimento di una istituzione culturale nei suoi confronti.
Ironico ma serio, disincantato ma molto attento e rispettoso. Incontrò la sera della sua premiazione che cenava al Rendez-Vous Giorgio Faletti con la consorte Roberta, che tra l’altro è da quest’anno membro del nostro comitato d’Onore e si avvicinò al suo tavolo dicendogli: ‘ma è vero che dicono anche a te che sono altri a scriverti i libri?’ Nacque una simpatia istintiva tra i due che portò il compianto Giorgio, primo vincitore del La Tore cinque anni prima, a salire sul palco durante tutta la serata della premiazione. Non credo di fare un torto a Fabio svelando quando pochi mesi dopo, nell’andare a portare il quadro premio che aveva ricevuto di Giancarlo Castelvecchi a casa dei suoi genitori a Brescia con l’amico professor Angelo Filippo Rampini, membro del comitato d’Onore e presentatore da anni dello stesso, trovammo negli occhi orgogliosi dei suoi genitori la conferma della stima che entrambi avevano per il loro figlio. Un amore fortissimo quello di Volo per la sua famiglia e specialmente per i due genitori che confessa più volte commosso nel libro, come pure il desiderio di non deluderli malgrado le scelte coraggiose e a volte spregiudicate che aveva fatto nella vita, scelte però che dalla Gescal delle case popolari di Brescia lo hanno portato tra pochi giorni a presentare il suo ultimo libro alla Rizzoli di New York.
Nel frattempo in questi giorni in tutta Italia le file ad ogni firma-libri nelle librerie si allungano e di una cosa siamo certi: se la letteratura può essere anche formativa, l’intera storia della vita di Fabio Volo non può non esserlo per tutte quelle persone. Oltre che per noi.
Jacopo Bononi, Presidente
Premio Letterario La Tore Isola d’Elba