Racconto riese:. alla pancia non si Comanda
Pietrino era stato preso da una famiglia piaggese alla Ruota degli Esposti di Portoferraio. All'epoca era costumanza prendere in famiglia un trovatello e questo sia per grazia ricevuta sia per avere in casa un asino da soma da sfruttare sin dalla più tenera età.
Pietrino era un giovanotto alto quasi due metri e la sua stazza faceva invidia a molti, tuttavia era un po’ duro di comprendonio. Così ogni qualvolta che non capiva una cosa sia il capo famiglia sia i figli, ma anche i paesani, al povero Pietrino buttavano a faccia le sue origini ignote.
Lui era stanco di questa situazione e perciò voleva sapere chi erano i suoi genitori naturali, oggi diremmo biologici. Questa era un chiodo fisso che lo tormentava giorno e notte. Ma come fare? Dove andare? Lo chiedeva a tutti, ma nessuno sapeva, o voleva, indirizzarlo. Un giorno, però, il vecchio Achille gli suggerì di rivolgersi al sor Giampaoli, l’ufficiale dello stato civile del comune: lui conservava i registri “dov’era scritto tutto!”.
Sì, vabbè, ma come arrivare dal burbero impiegato? Pietrino ideò una strategia, andò dalla signora Specos che gli doveva pagare un servigio e con quei soldi si presentò alla trattoria di Maria d’Edilio e comprò un piatto di gnocchi col sugo di lepre che quella santa donna, saputa la destinazione, preparò abbondantemente e lo imballò in una pezzòla colorata con tanto di forchetta.
Così, Pietrino, col suo pacchetto agguantato con una mano e con un fiasco di vino nell’altra, proseguì per via Palestro, dove vicino al Ponte di Bindo, c’era il Palazzo municipale (oggi Hotel Rio), e lì cominciò a passeggiare avanti e dietro.
Passò Palamede il quali gli chiese che cosa stesse facendo. Pietrino, orgoglioso e tutto impettito, gli rivelò il suo piano: “Vedete, io aspetto che il sor Giampaoli si affacci alla finestra dell’ufficio e mi chieda:
“Pietrino, cosa c’hai dentro la pezzòla?”.
“Gnocchi al sugo di lepre”, gli rispondo io.
“Boni, li mangerei proprio volentieri”, mi dice lui.
“Se mi apre l’uscio, glieli porto insieme al vino!” lo rassicuro io.
“Così salgo le scale, entro nel suo ufficio e dopo che lui ha mangiato, bevuto ed è bello satollo, gli chiedo di chi sono figlio”.
Palamede, ride sotto i baffi e se ne va sugli Spiazzi a mirare i bastimenti in rada. Intanto il tempo passa e quella finestra non si apre, l’orologio della torre batte il tocco e lo stomaco di Pietrino brontola.
Che fare? La fame e la sete hanno il sopravvento.
Il gigante buono si arrende, fuori l’Arsenale c’è uno sgabello e lui ci si siede, col piatto sulle ginocchia e la pezzòla ad armacollo, tempo quattro e quarantotto, si mangiò tutto e si tracannò il fiasco del vino.
Insomma, fate attenzione, perché alla pancia non si comanda!».
Lorenzo M.