Nell’estate del 1985, tra le imponenti pareti della cava Corridoni di San Piero all’Isola d’Elba, Giò Pomodoro modellava un’opera destinata a sfidare il tempo: la Tavola degli Antenati. In quel periodo di fervore creativo, l’artista vedeva nel granito locale non solo materia grezza, ma una stratificazione di memorie, un dialogo silenzioso con le civiltà che l’avevano preceduto.
Sotto un sole accecante, la polvere danzava nell’aria mentre le sue mani, guidate da gesti sapienti, scavavano la pietra con ritmo meditato. Il granito dell’Elba, ostile alla fretta, concedeva la propria forma solo dopo un negoziato paziente tra l’impulso umano e la resistenza minerale.
Emergevano così geometrie arcaiche, omaggio alle fatiche dei cavatori Sampieresi. Sulla superficie, strumenti come punciotti, scapezzini e mazzuoli posano inerti, fusi col masso in un abbraccio minerale. Con gli anni, l’acqua e l’erosione li trasfigurano: la ruggine dei metalli si insinua nel granito, trama rossastra che narra di sudore antico e di un dialogo mai interrotto tra materia e memoria.
Più che una scultura, la Tavola degli Antenati si rivelava un altare laico, un crocevia tra epoche. Nelle sue vene di pietra affiorano echi di graffiti antichi, mappe simboliche che sembrano tradurre un linguaggio universale, cifra condivisa tra chi estrae e chi scolpisce. Giò Pomodoro sapeva che la roccia è archivio del tempo: ogni solco, ogni spaccatura diventava traccia indelebile, destinata a sopravvivere alle ere come le montagne madri che l’avevano generata.
Gian Mario Gentini
Fin qui l'interessante report di Gian Mario Gentini al quale c'è da aggiungere qualche breve annotazione.
La Tavola degli Antenati ha subito in questi 40 anni dalla sua realizzazione varie vicissitudini, ed attualmente si trova (rimossa dalla sua prima collocazione e parzialmente danneggiata), in stato di abbandono nell'area delle escavazioni.
Si stenta a credere che l'opera di un artista di levatura internazionale, "regalata" all'Elba, sia caduta in talmente triste condizione.
Ci è stato accennato alla mancata corresponsione di una cifra (rilevante per l'epoca, ma inconfrontabile col valore, anche pecuniario oltre che culturale, di un'opera ideata da Giò Pomodoro) soldi da dare a chi materialmente aveva lavorato e posto la struttura. Una controversia che pur tardivamente sarebbe il caso di sanare.
Sollecitiamo quindi tutti i soggetti territorialmente disciplinarmente (e pure giuridicamente) competenti ad attivarsi perché il lavoro di Giò Pomodoro sia recuperato, restaurato e collocato in un contesto dignitoso e socialmente fruibile, riparando un "vulnus" dell'incuria e della insensibilità.
Ci rivolgiamo "in primis" all'amministrazione comunale campese, sollecitandola ad arricchirsi di una testimonianza d'arte, vera.
sergio rossi
Nell'immagine l'attuale "collocazione" della "tavola" di Giò Pomodoro