Un bel libro, o un libro utile (non sempre le due cose coincidono), è tale se quando l’hai finito se ti lascia più domande che risposte, se ti indica altri libri e idee per andare ancora più a fondo e, nei casi migliori, se ti aiuta a capire qualcosa in più dell’ingarbugliata matassa della vita. Funziona insomma se ti alzi da tavola con quell’appetito che ti lascia energia e desiderio.
Proprio l’attenzione e l’interesse per il desiderio è un tema ricorrente nella sua scrittura, oltre che in tutte le nostre vite, ed è una delle chiavi per comprendere l’ultimo libro di Massimo Recalcati, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa.
“Nel nostro tempo le passioni d’amore sembrano avere uno statuto diverso da quello del passato” ci avverte l’autore fin dalle prime righe. Di fronte alla “nuova disinibizione diffusa” e alla moltiplicazione delle esperienze amorose nella vita delle persone, “tutto sembra consumarsi più rapidamente”. Recalcati decide allora di navigare controcorrente e fa del suo libro il suo “canto alla durata” dell’amore, scritto in uno stile accattivante tra saggistica e narrativa. “Tratta di quegli amori nei quali il desiderio cresce e non appassisce con il passare del tempo perché allarga eroticamente l’orizzonte dei corpi degli amanti e, insieme, del mondo”. Si parla dunque degli amori che durano nel tempo senza cedere alla ricerca compulsiva del Nuovo, alla rapida liquefazione di cui parla Bauman e al rifiuto dell’impegno simbolico del matrimonio.
Di fronte a queste idee-forza del nuovo padrone, il capitalismo dell’”usa e getta” e dell’ “ogni lasciata è persa”), Recalcati denuncia due grandi menzogne del nostro tempo sulla natura dell’uomo: il mito della libertà e dell’indipendenza del’Individuo dall’Altro e il Nuovo come principio che orienta la vita del desiderio. Sono idee che si intrecciano e rafforzano a vicenda e che portano al mito dell’individuo che si fa da sé e da sé può risolvere tutto, all’incuria e all’abbandono di ciò che si ha e al perenne illusorio inseguimento del desiderio per il Nuovo che non si possiede. Queste idee si rispecchiano nei rapporti tra i sessi, dove la stessa libertà conquistata dalle donne rischia di ricalcare i passi falsi della nevrosi maschile.
L’autore crede che la psicanalisi debba ritrovare la sua vena originaria di teoria critica della società e non servire le Sirene del desiderio consumistico destinato a rinnovare continuamente oggetto e partner. Contro la “nuova ideologia libertina” Recalcati dedica un’attenzione particolare ai temi del tradimento, “l’impatto traumatico che mette l’amore in ginocchio” e del perdono, “una delle prove più alte e più dure che possono attendere gli amanti”.
Per dire qualcosa di nuovo sull’amore sceglie di lasciare la mano di Freud e rivolgersi a quella di Lacan, che mostra come non esista possibilità di vita umana senza la presenza dell’Altro. Se l’abbandono è l’esperienza traumatica della mancata risposta dell’Altro al nostro grido, l’amore è “la risposta col proprio desiderio al desiderio di essere desiderati dall’Altro”. L’incontro d’amore, tra universi paralleli e linguaggi sconosciuti l’uno all’altro come il maschile e il femminile, crea un nuovo mondo, che si immagina subito debba restare “per sempre”. La parola-chiave dell’incontro, secondo Lacan, è “ancora” (e in francese, osserva Recalcati, encore ha lo stesso suono di en corp, ma si potrebbe aggiungere che in italiano ha la stessa grafia di àncora): la tendenza alla ripetizione, alla ricerca del “per sempre” ne fa parte, come mi pare testimoniato anche dai giovanissimi attraverso le migliaia di lucchetti di Roma e non solo, con le chiavi gettate in acqua. E’ il paradosso della “libertà prigioniera”: il desiderio di possedere l’altro e il desiderio della sua piena libertà. Ma “come può esistere una libertà prigioniera?”. Proprio perché non può esistere, ogni amore ha in sé il rischio della fine.
Forte dell’esperienza di casi clinici e di percorsi analitici e letterari, osserva che molte crisi si annunciano nella constatazione, di uno o entrambi, che “Non è più come prima”: è il segno di un crollo della fiducia nell’altro, che spesso si accompagna o coincide col tradimento, e genera il trauma del crollo di un intero mondo. Il trauma è “il rovescio assoluto della rimozione”: opprime, toglie il sonno, perseguita. Qui, dice Recalcati, sta la differenza tra gli amori narcisistici, che annullano le differenze nella ricerca della simbiosi, e quelli capaci di durare, anche oltre la violazione delle regole condivise. Perché qui c’è la verifica: siamo disponibili a sopportare il peso della solitudine e il destino di esiliati dall’esistenza del rapporto sessuale, per rinnovare con la stessa persona e con un nuovo “ancora” le basi del mondo creato insieme? E qui il lettore si trova di fronte, come l’amante deluso, al tema del “lavoro del perdono”, che richiede tempo, come il lavoro del lutto, con la differenza che il soggetto dell’offesa non è eccessivamente assente ma è in vita e eccessivamente presente. Qui entra in gioco, tra l’altro, la scorciatoia della violenza, fino al gesto estremo del femminicidio, che punisce l’oggetto d’amore troppo idealizzato, perché non è “più come prima”.
Come nelle due storie intrecciate nella parte finale (una trentina di pagine di puro racconto tratto da esperienze cliniche), si offrono, anche agli amori duraturi, due diverse strade, dense di significati e con la stessa dignità: una è la gioia del perdono, che comporta, nella solitudine e nella gratitudine, un nuovo riconoscimento dell’identità dell’Altro; l’altra, è l’impossibilità di perdonare, come manifestazione radicale dell’amore.
Chiuso questo libro, bello e utile, ci si pongono nuove domande e viene voglia di leggersi o rileggersi un po’ di Lacan, un po’ di McCarthy e un po’ di Shakespeare, che con il “Più io ti do, più io ho” di Giulietta sintetizza il mistero e il dono dell’amore.
Massimo Recalcati, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, Raffaello Cortina editore, pp. 159, 13 euro
Luciano Minerva