L’impareggiabile Oscar Wilde scrisse “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, un giorno forse aggiungerò alle tante quisquilie che ho scritto (“favate” in ferajese) : “La sfortuna di chiamarsi Sergio Rossi”, certo di ottenere, se non la solidarietà, almeno la potenziale comprensione di quanti si trovano a fare i conti con un nome “indistintivo” per eccesso di repliche, dei tanti Ciro Esposito napoletani, dei numerosi Hans Muller tedeschi, dei moltissimi Jacques Martin francesi, dei debordanti John Smith di lingua inglese, dei troppi Paco Gonzales ispanici e via declinando, anzi crescendo, fino alle oceaniche masse degli Ivan Smirnov russi e dei Chun Li cinesi.
Essere portatori, anche sani, del bacillo del nome e cognome comuni è comunque un handicap, non fosse altro che per il volume infinito di rotture di palle e di equivoci che comporta.
Conto un migliaio di omonimi solo in Italia (tra i quali non ci dovevano essere in passato solo personcine per bene, visto che, anni fa, ad ogni frontiera dovevo mettere in conto un “controllo del passaporto” che mediamente durava una trentina di minuti) e passi, ben altri quattro erano iscritti all’albo dei giornalisti, tra quali uno più a destra di Goering, e mi sono spesso preso colpe non mie, altri tre erano nati nell’arco di soli venti anni a Portoferraio, e mi è perfino capitato di ricevere, all’atto del presentarmi, una risata sul muso da una ragazza che avevo… ahem… notato. “Mica faccio collezione!” disse la spiritosa e disinibita fanciulla, spiegandomi di seguito che di Sergio Rossi (foresto) ne aveva appena mollato uno.
Lettere recapitate all'omonimo o viceversa, qui pro quo burocratici, mia madre che durante il mio servizio alla Patria pagò a lungo le rate di un’enciclopedia che non avevo comprato, una denuncia ricevuta per omesso pagamento di un verbale per aver commesso un infrazione in una città dove non ero mai stato e su un’auto mai posseduta, tutto ho sopportato con laica rassegnazione, anche di vedere un omonimo in parlamento tra le fila poco gloriose dei legaioli, ed il clou: la vicenda del doppio morso:
In un giorno di luglio giunto sotte le finestre di casa mia chiesi a mia madre di lanciarmi dalla finestra uno zainetto con il telo da mare, niente di frangibile, ma la pigrizia di non rifare le scale fu punita, perché lo zainetto centrò un incolpevole cane che se ne stava in pacifica sosta sul marciapiede e che, equivocando, reagì al presunto attacco affondando i suoi denti nelle carni della a mia chiappa destra.
Dovevo fare la profilassi e il medico che me la prescriveva, come da legge, doveva fare segnalazione ai vigili urbani; orbene, per non far passare dei guai al proprietario che conoscevo, e pensando che il morso (in parte attutito da jeans) fosse già stato vendicato dal poderoso calcio nel culo di sinistro rifilato al mordace, mentii spudoratamente, fornendo una descrizione delle fattezze del canide aggressore talmente assurda, che solo un affetto da forte miopia ed alto tasso etilico poteva esserne sincero autore.
Ma accadde anche qualcosa di veramente incredibile: più o meno alla stessa ora, e non distante dal luogo del fattaccio, un altro cane davvero non identificato, sicuramente però diverso da quello che avevo fantasiosamente descritto, per motivi oscuri (forse era la giornata internazionale del morso nel culo), addentò le terga di un mio omonimo, il quale come me si rivolse al suo medico per la profilassi, e questi, come il mio inoltrò rapporto ai vigili urbani.
Ma nessuno dei due medici aveva indicato la data di nascita del morsicato, e questo generò un immaginabile casino tra i solerti tutori dell’ordine pubblico comunale.
Finì che ci trovammo in quattro omonimi, convocati, qualche giorno dopo, al palazzo della Biscotteria, ma in quella stanza in attesa c’erano anche altre persone, e così quando il ViceComandante dei vigili entrò e chiese: “Chi è Sergio Rossi?” ci alzammo in quattro.
“Va bene – riprese paziente Penna Nera (questo il nomignolo con cui era conosciuto il funzionario) – ma chi di voi e è stato morso dal cane il 15 Luglio?
A sentire il secondo “Io”, che si sovrapponeva al mio, Penna Nera sbottò: “Ma allora mi pigliate pel culo!” e furono necessari buoni altri dieci minuti di discussione per venire a capo della faccenda.
Ora voi potreste pensare cari lettori che qui termini il racconto, ma c’è un’importante appendice: qualche giorno fa il Corriere della Sera, ha pubblicato “a pagamento” una paginata di dichiarazioni di supporto ed amore, alcuni sconfinanti nell’arte del leccamento di derrière, per una “vittima dei giudici comunisti” (ma chi li ha più visti i comunisti?): il pregiudicato per reati di mafia Marcello Dell’Utri, già compare di mille merende del tramontante Cavaliere.
Tra questi se ne trova un molto appassionato messaggio firmato, manco a dirlo, “Sergio Rossi”.
Basta, come diceva Totò, anche il limite ha una pazienza! A parte il solenne giuramento di non comprare più il Corrierone neanche per sbaglio, ho deciso di presentare istanza per cambiare identità: o mi facciano aggiugere il matrionimico Lupi alla spagnola (anche se mi immagino che Lupi-Rossi darebbe adito a critiche politiche), o mi consentano di applicare il soprannome familiare (pure se Rossi-Tardò evoca un po’ puzza sotto il naso e scimmiottamenti nobiliari) o mi diano un nome e un cognome estratti a sorte, e sia quel che sia: meglio firmarsi che so … Prosdocimo Cetrioloni, che correre il rischio di essere scambiato per un amico dei mafiosi.