Per chi, come noi, fa il mestiere artigianale di intrecciare parole, e lo esercita in umiltà di fronte alla preziosa materia che lavora, né più né meno come un falegname che ama il legno che sagoma, o un fabbro che rispetta il ferro che piega e conduce alla ragione, è facile cadere nella tentazione (un po' oziosa) di soffermarsi su un lemma, cercare di intuirne il suo etimologico determinarsi, capire come è nato, da quale antico idioma è sorto, quanta parte di onomatopeica lo regge, figurandosi i gutturali tentativi dei più antichi progenitori nostri di imitare i suoni della natura , per rappresentare ai propri simili quella determinata entità.
Consci del fatto che l'assessore fino ad ora non abbia capito una beata sega, e prevedendo, ora che dovremo parlare di toponimi, ch'egli erroneamente immagini che si ragioni dei modi, più o meno giocosi di appellare il gioiello più indiscreto delle signore (es. susina, sportella, pincia etc etc), tentiamo di proseguire in maniera più piana, e comprensibile perfino dal consigliere.
A proposito di toponimi, in una delle ultime passeggiate in calata, compiute con un grande ferajese che non c'è più, il disimpegnato discutere cadde, non ci ricordiamo perché, sulle Isole Baleari.
"Ma te lo sai - chiese il Professore - quel'è l'etimo di Baleari?"
"Boh forse - scazzammo - avrà a che fare con balena ..."
"Pare di no, sembrerebbe invece che abbia a che vedere con il verbo greco "βάλλω" (ballo -ballein) che vuol dire lanciare ..."
"Come "balistica" ?" azzardammo memore dei trascorsi artiglieri..
"Sì, e sai perché perché? i maiorchioni e i minorchini più antichi, si erano specializzati nell'arte di lanciare sassi con le fionde, e quando qualcuno provava ad andare a rompergli le palle - ridacchiò - difendevano le loro isole a ghiaiate ..."
Poi la discussione, meglio la lezione, restando su "βάλλω" si spostò su altre parole derivanti da quel verbo: una, ci ricordiamo ancora con sorpresa, era "diavolo"...
Orbene quella piacevole sera e le sue parole che vi fluirono ci sono è tornate alla mente quando abbiamo dovuto scrivere della, più sgradevole, abusiva tentata o realizzata incetta di ghiaie alle Ghiaie da parte dei maleducati torzoli di giornata.
Forse sarà politicamente scorretto, forse non sarà in linea con la politica dell'accoglienza, ma abbiamo pensato che per anni e secoli i frugoli elbani, pur non avendo coltivato l'arte fromboliera dei loro cugini baleari, anche a mani nude, se la cavavano discretamente, nelle guerre per bande giovanili (che non a caso "sassaiole" si chiamavano) nell'esercizio del calibrato lancio a bersaglio della ghiaia.
E abbiamo pensato che se, per incantamento, uno a tra i tanti componenti delle "bastardaie" ferajesi degli anni 50 e 60, proiettato con la sua maglietta a righe dalla macchina del tempo sulla scena, avesse vendicato l'onta di una signora, accusata da una mezza-sega meneghina, di dire "cagate", ed al gioioso grido di guerra "cahata sarai te!", avesse centrato la vuota zucca del giovane stracacacazzo (ci si perdoni in francesismo), con commisurata ghiaia, non non troppo grande da trauma cranico, ma giusta per "bernocculum vulgare" vel "fica in capo" (ferita laceso contusa del cuoio capelluto, per i foresti), sarebbe stata cosa buona e degna.
La voce sarebbe certo girata e se ne sarebbe colpito (anzi ghiaiato) uno per educarne cento.