Per un'estate di fine anni 50 impazzò a Portoferraio Johnny; il tizio era un giovanotto di nazionalità americana che ostentava (oggi diremmo con orgoglio, in quell'Italia bigotta e moralista era sfacciataggine) il suo essere omosessuale.
Di lui ricordiamo una strana tshirt con una sorta di sole sulla schiena disegnato dalla pelle che si scorgeva sotto un artistico ritaglio nude-look.
Ma il più scandaloso degli indumenti di cui il ragazzo faceva sfoggio non era la solare maglietta, bensì un succintissimo costume da bagno (in quei tempi di slip ascellari) con cui si adornava prendendo il sole alle Ghiaie.
Un giorno, mentre se ne stava in quel quasi adamitico abbigliamento, a pochi passi dal mare, Johnny incappò nella repressione delle Forze dell'Ordine, impersonate dal vigile urbano François, che lo redarguì severamente.
Il giovane statunitense probabilmente non capì molto della ramanzina che gli veniva impartita, ma restò incantato dalla figura dell'omone in divisa, degno rappresentante di una famiglia (i Vannucci) che produceva da sempre esemplari naturalmente "fisicati" come Bronzi di Riace.
Ed appena François prese fiato, Johnny esplose la sua ammirazione con un epocale: "BELLO!" che disarmò totalmente il censore e provocò lo scompiscio dei curiosi che assistevano alla scena.
Per un bel pezzo, tra le mura di Cosimo risuonò quel "BELLO!" proto-demenziale che i ferajesi presero ad usare a mo' di presa di culo dell'interlocutore.
Erano quelli tempi in cui il lessico popolare si arricchiva costantemente di nuovi elementi di scherzo e dileggio, come il "BELLO!", che per un periodo restavano in voga per essere sosituiti da altri.
L'omaggio a François cedette così il passo ad una curiosa espressione, di probabile importazione labronica, che suonava: "MANGI QUI?" più o meno a significare letteralmente: "Ti trattieni qui fino ad ora di pranzo? Resti ancora?", ma sostanzialmente stava ad indicare "Quando la fai finita?"
Orbene, in questo caso la creatività popolare ferajese elaborò anche una controbattuta, che annullava il "MANGI QUI?" e che consisteva nella risposta: "NO, MANGIO ALL'ECA!"
L' E.C.A. (acronimo di Ente Comunale di Assistenza) all'epoca sopperiva ai bisogni della parte più povera della popolazione e tra i suoi servizi c'era la distribuzione di cibo che i più bisognosi (quelli forniti di attestato di povertà) andavano a ritirare alle ore dei pasti con tintinnanti gavette o altri recipienti, che venivano poi riempiti e riportati a domicilio per una consumazione discreta di quella "pubblica carità".
Il "NO MANGIO ALL'ECA", e qui cambia il registro ed il tono del nostro scrivere, era in fondo un irridere la propria miseria, era esorcizzare un dramma allora ancora ben presente.
Poi ci fu il cosiddetto "Boom" economico, che all'isola prese le sembianze del turismo, l'Elba iniziò a fruire di un benessere abbastanza diffuso, scomparirono quasi del tutto (pure nella distribuzione non equa delle nuove ricchezze) le situazioni di povertà tali che ci fossero famiglie costrette a chiedere una carità alimentare.
L'ECA chiuse i battenti, e chi sapeva cosa fosse stato per decenni pensò a quei tempi ed alle difficoltà che li avevano caratterizzati, come lontanissimi ed irripetibili.
Ma abbiamo scritto appena qualche ora fa (dandogli valenza positiva) della mensa che la Parrocchia di San Giuseppe apre ora quotidianamente ai meno fortunati tra i nostri concittadini.
E se da una parte ribadiamo la nostra gratitudine verso chi concretamente opera in favore dei bisognosi, dall'altra ci viede da parafrasare il noto "Beato quel paese che non ha bisogno di eroi" in un "Beato quel paese che non ha bisogno di opere di carità" laiche o religiose che siano.
E non è con la parola "pena" che descriviamo lo stato d'animo che ci coglie nell'apprendere che un pessimo numero di persone versi in condizioni così precarie da non avere neppure di che sfamarsi, magari da anziane e dopo aver lavorato per una vita intera, no, quello che proviamo (non vadano in deliquio le signore rotaryane), è bene definirlo come "intenso giramento di coglioni".
Un'inquietudine, detto più educatamente, una rabbia che cresce al cospetto di pubbliche ruberie, ma anche pubblici sprechi.
E ci è pure venuto da chiederci : quanto mai potrebbe costare una assistenza domiciliare alimentare erogata a chi ne ha bisogno, certo, organizzata anche con l'aiuto del volontariato, ma garantita, finanziata e controllata dalle pubbliche istituzioni? Possibile che non si trovi la disponibilità politica e finanziaria per fare tutto ciò, o meglio, appena questo?
Ma perché ipotizziamo un nuovo ECA che, tra le altre attività, riesca a sfamare a casa sua chi ne ha necessità?
Per due ordini di motivi:
Il primo è che il soddisfacimento di bisogni primari come l'alimentarsi, vestirsi, avere una dimora dignitosa, essere curati se ci si ammala, è un diritto dei cittadini, ed i diritti si rispettano con l'obbligatorio pubblico esercizio della solidarietà sociale, a cui la carità individuale o di collettivi soggetti può concorrere, non sostituirsi.
Il secondo è che è anche un diritto vivere in riservatezza la propria indigenza.
Nella vita è opportuno riservarsi lo spazio per divertirsi, per ridere, per scherzare sul "BELLO!" di Johnny e sul "MANGI QUI?".
Con la povertà e con la dignità dei nostri concittadini non si scherza, mai.