Anni fa, aiutando nel suo lavoro una glottologa, la Prof.ssa Gloria Sirianni, impegnata della stesura di un "Atlante lessicale", ci rendemmo conto di quanto fosse difficile trovare degli "elbani purosangue" (nel caso testimoni di fasce diverse di età che fossero almeno alla terza generazione residente nelle aree designate per le rilevazioni, e che lo fossero sia da parte materna che paterna), ciò vuoi per l'incredibile numero di immigrazioni a ondata di cui è stata oggetto l'isola (il melting pot statunitense "ce fa 'na pippa"), vuoi per il girandolare interno in un'isola dialettologicamente così complessa che - ad esempio - una stessa erba di campo (tranapecori, ortipecori, lattipecori, terracrepoli) può essere chiamata con quattro nomi diversi, ed al contrario ci sono dei nomi fungini che da un lato dell'Elba indicano una specie dall'altro un'altra completamente diversa. Ancora in quegli anni, un altro studio centrato sui cognomi, aveva rilevato che circa un quinto delle famiglie residenti nel capoluogo elbano aveva radici "lombarde" usando questo termine nell'accezione isolana: "lombardi" erano infatti per gli elbani tutti coloro che venivano da oltre l'Appennino, e nel caso di specie, i moltissimi che sbarcavano nella "ricca" Elba dalle colline e monti di Emilia (da Sestola, Pavullo, Polinago, Montefiorino, Villa Minozzo, Montecreto, Felina e decine di altri borghi, dove c'erano, all'epoca, meno opportunità di lavoro).
Ad esempio chi scrive questa nota non può dirsi un ferajese puro, ritrovandosi "almeno" sangue "lombardo", garfagnino e marcianese-patresaio in circolo. Quindi siamo ferajesi più per ius soli che per ius sanguinis (l'assessore non ci avrà capito una minchia, ma fa niente, proseguiamo).
Qualche mese fa impazzava sul web un gioco (peraltro replicato in varianti locali in tutta Italia) il "sei ferajese se ..." al quale non abbiamo partecipato, se, lo avessimo fatto avremmo sicuramente scritto: "... se riesci a camminare scalzo tranquillamente sulle ghiaie".
Alle Ghiaie (e su consimili sassosi litorali) il selvaggio elbanese e il foresto si distinguono pure da lontano a colpo d'occhio: il primo lo vedrete incedere serenamente, il secondo per prima cosa assumerà, appena sceso in spiaggia, la classica postura del "piede a papero" e si muoverà guardingo rimirandosi la punta degli alluci a minimi passi, allargando un po' le braccia come se fosse sull'orlo di un precipizio.
Purtroppo però può accadere che più di un foresto incantato dalla bellezza delle pietra lattate e screziate di blu, ma forse soprattutto a ricordo dell'impresa infine (più o meno) riuscitagli, a ricordo dei brividi provati, pensi bene di portarsi via una sacchettata di quei sassi.
Di certo questo sta facendo la signora che Cheti Soldani ha immortalato nella poco elegante posa altrimenti detta "buco punzone", colta appunto nell'atto di raccogliere delle ghiaie da portarsi in chissà quale lontana plaga.
La signora ad angolo retto pare bellamente ignorare che se ciascun foresto bagnante come lei facesse, in poche stagioni di ghiaie alle Ghiaie non resterebbe più traccia, visto anche che ormai questi furti (tecnicamente e giuridicamente tali asportazioni lo sono) si stanno perpetrando da anni.
Per intanto su Facebook un'altra signora ha aperto una sottoscrizione per la realizzazione di un paio di cartelli di adeguate dimensioni (ce ne sono di già ma sono visibili quanto francobolli) che ricordino ai fruitori della spiaggia che le ghiaie devono restare dove sono.
Personalmente abbiamo proposto che tale segnaletica sia guarnita della seguente dicitura: "...e chi si frega le ghiaie ilbudellodisumà!", ciò non diminuirebbe forse gli ammanchi petrosi, ma leggerlo sarebbe per i nativi motivo di soddisfazione.