Il geniale Marx (parlo di Groucho non di Karl) una volta rispose ad un tizio che gli proponeva di entrare a far parte di ad un esclusivo club: “Non mi iscriverei mai ad un club che accetta uno come me tra i suoi iscritti!”
In linea con questo folgorante pensare, non essendomi mai iscritto alla tribù del VIP di paese con diritto di poltrona, né intendendo iscrivermi alla più vasta tribù dei figuranti (incazzati o rispettosi poca differenza fa) contornanti in piedi i medesimi, facenti parti della supposta (absit iniuria verbo) casta dei culi appoggiati, sono sopravvissuto benissimo, senza parteciparvi, sia alla grande adunata arboriana, sia all’onorato rinfresco a bordo della vetusta e rinfrescata Oglasa.
Per la cronaca, che a nessuno interesserà, quella sera ho visto in TV “Il nome della rosa” uno dei pochi film che non mi ha fatto rimpiangere il libro (libro: ha presente - consigliere - quei cosi di carta pieni zeppi di parole scritte? No, non l’elenco telefonico … lasci perdere) da cui è stato tratto.
Sempre in TV però dopo, scanalando, mi sono imbattuto in un documentario che mostrava una serie di inutili (anzi perniciosi) idioti che si alternavano nel farsi fotografare, gonfi di orgoglio, mica insieme ad un premio Nobel, ma nientemeno che accanto ad un superVIP: quell’ammirevole integerrimo cittadino che il volgo (e pure le patrie galere) conoscono come Fabrizio Corona.
A completare il tutto, poco dopo, ancora ragionando di VIP, leggevo sulle cronache del Tirreno di una quarantina di babbuini serotini in Calata Mazzini, che dalla banchina inneggiavano ad una pseudo-Carolina di Monaco, la quale benignamente da poppa di un lussuoso yacht, alzava il calice al cospetto della grata e plaudente plebaglia.
Cosa lega i tre fatti? Poco, solo la nostra personale nostalgia di un tempo, neppure tanto lontano, in cui in questo posto era considerato disdicevole, registrata la presenza di una persona nota, interessarsi troppo a lui/lei, e chiedere poi un autografo non era neppure pensabile, perché sarebbe stata fonte di pluriennali prese di culo, un posto dove i tipi alla Corona non solo erano considerati delle incommensurabili fave lesse, ma rischiavano pure il “frullo in mare”(a beneficio dei foresti: atto dell'essere in malo modo ghermiti ed indi esser gittati di peso tra le portuali non cristalline acque) un posto dove un presunto “maggiorente” si sarebbe sentito quanto meno in imbarazzo, se non proprio vergognato, ad accomodarsi seduto tra tanta gente in piedi.