Un mare d’anni fa, quando facevo politica molto attivamente, si usava appiccicare degli irridenti nick-name (si direbbe oggi), dei nomignoli che venivano affibbiati ad avversari e compagni di partito, per dileggio e che talvolta finivano per essere usati più dei veri nomi: fu così che l’On. Lucchesi senior diventò, ignoriamo perché, “Grondaia”, il repubblicano Avvocato Ciummei (due “m”, niente a che vedere, sotto nessun profilo, con Cimabue) “Grondaia Verde”, il decisionista Elvio Diversi fu il “Ducetto”, il debordante Franco Gasparri “Gasparone”, mentre Danilo Alessi continuava a trascinarsi dietro il “Totanino” che gli avevano conferito da bimbo.
Ma anche quelli più giovani dei citati, non sfuggivano al conio dell’appellativo, per me che, ero un soggetto fortemente incazzoso ed incline ad improvvise esplosioni, Uberto Lupi pescando nella letteratura minore (Neri Tanfucio alias Renato Fucini) fabbricò uno stupendo “Il Matto delle Giuncaie”, ed io stesso presi a chiamare Marchetti “Don Lorenzo”, per la severa sacralità pressoché sacerdotale che sempre assumeva, anche se si stava ragionando di puttanate; Umberto Ammazzantini (come lo chiamava Luana Rovini) disponendo di un soprannome di famiglia adeguato come “Veleno” e non registrò variazioni.
Pino Coluccia giunse con qualche anno di ritardo nell’area del PCI ma bruciò le tappe, in tutti i sensi, non solo per la sua rapida ascesa politica, ma anche nel conquistarsi (per quanto in un circoscritto ambiente) non uno ma ben due nomignoli “ferajesi”, che poi perse andando altrove.
Accadde dunque che Pino diventasse Segretario del PCI di Portoferraio e che gli fosse affiancato un ufficio di segreteria composto da elementi piuttosto vivaci (tra i quali Daniela Calafuri, Mauro Magnani, Franco Scelza, e chi scrive) che spesso entravano in conflitto con la flemma e col procedere un poco (beh, tanto poco no) schematico del segretario.
Un giorno, in sua assenza stavamo prendendolo per il culo per queste sue spigolose rigidità, e qualcuno (non dico chi) esclamò “E’ un parallelepipedo!” “No - perfezionò un altro – è un paralleleBipedo”. E per un po’ i congiurati continuarono tra loro a riferirsi a Pino Coluccia chiamandolo “il Parallelebipedo”.
Ma un giorno, durante una discussione in segreteria accadde che Coluccia assumesse una posizione che mi pareva del tutto avulsa dalla realtà e sbottai: “Certe volte mi sembra che tu non sia a terra ma su un’astronave in orbita da sola .. in attesa di un improbabile docking ..”
Erano quelli i primi tempi della “nuova” navetta spaziale americana, e Daniela, subito dopo sussurrò, ma la sentii, perché la riunione era tesa, ed era scoppiato il silenzio, solo una parola: “Shuttle!”
Il Parallelebipedo da quel giorno assunse più slanciate linee e cominciò a vagare nel sidereo spazio .. e fu subito lo “Shuttle” insomma.
Orbene l’altro giorno quando ho letto l’ultimo pezzo di Pino (al quale riconosco, e non è poco, di essere una persona di indole mite, non permalosa né rancorosa) con la sua assurda analisi iperottimista sulle magnifiche sorti e progressive del turismo elbano, mi era venuta voglia di chiamarlo al telefono e dirgli soltanto: “Shhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhuttle!”