C'è stata tutta un'epoca in cui andavamo in massa su due ruote a motore, in sella a lambrette e vespe e bianchini e garellini e guzzini e italjet, motori monocilindrici quasi tutti da 48 a 125 cc, si faceva miscela e si partiva a gruppi, si andava a ballare o anche a fare lo struscio la domenica negli altri paesi, il casco lo portavano solo i poliziotti della Stradale, la "patta in tera", la scivolata la caduta, erano all'ordine del giorno, mai conosciuto uno che non fosse cascato almeno una volta; ma 99 volte su 100 le conseguenze erano tagli, sbucciature, moccoli più per i pantaloni rotti che per i graffi sulle chiappe, che quelli guarivano gratis da soli e i pantaloni no. Se proprio andava male (ma bisognava avere sculo) il protagonista lo vedevi arrivare al bar il giorno dopo con un braccio ingessato o con un gambaletto bianco che gli copriva lo stinco.
Quando per una bruttissima caduta sulle curve delle Grotte morì un ragazzo ero bimbetto, mi pare che prima che ricapitasse una simile disgrazia all'isola avessi già fatto il militare.
Eppure, ripeto, eravamo più numerosi di oggi a circolare in moto e scooter, le strade facevano anche più schifo, quella dell'Enfola e quella del Volterraio erano addirittura sterrate.
Qualche giorno fa, mentre scrivevo di un ragazzo che si era ammazzato con una moto, l'ultimo di una teoria infinita, mi sono posto la seguente bizzarra domanda: perché chi fabbrica sigarette è obbligato a scrivere sui suoi prodotti che il fumo uccide, e non si obbliga chi costruisce una pericolosissima cosa quale è una moto di grossa cilindrata a scriverci su in bella evidenza: attenzione questa cosa può ammazzarti o può farti passare il resto della vita su una sedia a rotelle?
Perché non è l'andare su due ruote che ammazza e non è nemmeno il cadere (altrimenti, ripeto, farei parte di una generazione decimata). E' l'assurda potenza, l'assurda velocità, l'assurda capacità di accelerazione e l'assurda massa di questi cosi che uccide che storpia che può far diventare fatale un minimo errore, una curva presa male, una chiazza di olio.
Le gelide statistiche ci dicono che le moto fanno un morto ogni sei ore in Italia e sono convinto che se analizzassimo la sequenza storica degli incidenti isolani ci accorgeremmo che in rapporto, quei mezzi di trasporto, sono sulle nostre strade ancora più letali.
Certo è difficile pensare a misure che impongano (al di là della "provocazione" della truce scritta) ai costruttori di immettere sul mercato veicoli di potenza e "stazza" inferiore, così come produrre normative che vietino in diversificati ambiti e circostanze l'uso di mezzi non consoni (alla prova delle cronache), anche perché in una società consumista come quella in cui viviamo, il peccato più turpe che si può commettere è rompere le palle al "sacro mercato", e, nel caso, al suo delirio che conduce ad una filosofia che spaccia come "più ganzo", chi più spreca in risorse, in energie, in inutile velocità, chi fa più rumore, chi se ne sbatte della sicurezza sia del "centauro" che dell'inerme utente che si trovi casualmente sulla rotta di un mostro impazzito (ricordiamo un terribile episodio di un ciclista massacrato da una grossa moto solo qualche tempo fa, da noi).
La conquista a comportamenti alternativi, più rispettosi della stessa vita umana, più che di produzione di improbabili e poi sempre aggirabili normative e limitazioni, è questione di maturazione culturale di tutta una società.
Quando sarà opinione comune che il casco di chi percorre ad assurda velocità le nostre strade, protegge, quando ci riesce, un almeno temporaneo penecefalo da rieducare, forse un passettino in avanti lo si sarà fatto.