Ora tocca ai cardinali. Non ho motivi di simpatia o antipatia per la categoria dei cardinali di Santa Romana Chiesa: appartengono a un mondo al quale sono esterno, come la Corte d’Inghilterra o di Mosca. Riservo la simpatia o l’antipatia per le persone singole, quando le conosco.
Dell’appartamento del cardinale Bertone si è straparlato a lungo. Non si capisce perché ci se ne debba interessare, mentre nessuno si domanda dove abita la duchessa di Kent o l’infanta di Spagna, o l’omologo di Bertone Blair, ex primo ministro d’Inghilterra (Bertone lo era dello Stato della Città del Vaticano). Se ne è accorto solo Roberto D’Agostino di Dagospia, osservando che un principe della Chiesa abiterà un po’ dove crede (e può). E il card. Fisichella, intervistato dalle Iene, ha detto che lui sta dove gli dice il Papa. Le Iene, cavalcando l’onda del moralismo ‘popolare’, sono andate a inseguire i singoli porporati per scoprire quel che si poteva ben immaginare, che una cinquantina di altissimi dirigenti della Chiesa Cattolica, capi di Ministeri (o Dicasteri, come si dice nel linguaggio ecclesiastico) che amministrano un’organizzazione che annovera oltre un miliardo di appartenenti, abitano (e vi fanno manutenzione) in grandi palazzi di proprietà della stessa organizzazione, occupando grandissimi appartamenti che altrimenti sarebbero vuoti, o che sarebbero utilizzati da facoltosissimi omologhi di altre organizzazioni; e nei quali abiterebbero volentieri anche molti dei severi censori odierni.
E’ vero. Il Papa abita in cinquanta metri quadri. E’ una sua scelta, che può incontrare maggior simpatia: ma è un fatto privato, anche se ammirevole e straordinario. Un suo prossimo predecessore, Giovanni Paolo II Santo Subito, si fece costruire una piscina sulla terrazza di un attico nei Palazzi Apostolici. Fu una sua scelta, forse anche opportuna: se voleva nuotare, alla lunga sarebbe costato di più organizzare delle uscite per Roma garantendone la sicurezza –considerato che gli hanno anche sparato-. Giovanni XXIII viaggiava serenamente in Sedia Gestatoria con la Tiara papale e i ventaglioni dietro: ma a nessun moralista venne allora in mente di levare la voce sdegnata.
E’ vero. Alcuni cardinali vivono in palazzi e in appartamenti fra i più belli di Roma. Ma il card. Betori, arcivescovo di Firenze, ha le finestre del suo appartamento affacciate sul “Bel San Giovanni” di Dante e sul campanile di Giotto, che non è proprio un postaccio. E si potrebbe fare l’elenco di tutti o quasi i vescovi delle Chiese con più antica tradizione; ma è appunto per questo che le case dei vescovi sono di solito in bellissimi palazzi antichi in luoghi bellissimi. E quando passano a miglior vita, non se li portano dietro e non li lasciano ai parenti (neppure Bertone). Mentre nei secoli trascorsi i cardinali e gli altri dignitari della Chiesa i palazzi se li costruivano, con i proventi delle loro rendite ecclesiastiche, e poi li lasciavano ai parenti; e del resto oggi sono quei palazzi, costruiti dai principi della Chiesa, quasi tutti quelli del centro di Roma, a rendere la capitale della nostra nazione quella “Grande Bellezza” visitata ogni anno da milioni di turisti che ne sono una delle risorse economiche più importanti.
E’ vero. Il patrimonio immobiliare della Chiesa, a Roma e nel mondo, è immenso: ma anche quello dello Stato Italiano lo è, come quello della Corona d’Inghilterra, o della Repubblica Russa. Si è accumulato in secoli di storia, e studiarne i modi di formazione è estremamente interessante. Liquidare quella storia con un banale discorso moralistico è davvero sterile e ingenuo. Significa giudicare con le viscere invece che con l’intelletto.
Sulla povertà la Chiesa ha dibattuto a livelli altissimi per tutta la sua bimillenaria storia, e i protagonisti del dibattito –non di rado cruento- non erano buontemponi un po’ demagoghi o gaudenti irriducibili (questi ultimi non partecipavano alle discussioni teologiche. Si limitavano a prendersi quel che potevano cercando di suscitare il minino di risentimenti). Il campione assoluto della povertà, Francesco d’Assisi, offrì una testimonianza insuperata; ma non emise proclami o condanne, limitandosi a chiedere –con massima energia- a tutti coloro che volevano seguirlo di conformarsi alla sua Regola. E tuttavia la basilica intitolata a suo nome in Assisi fu affrescata da Giotto, che non dipingeva gratis (e anzi costava moltissimo).
Così papa Francesco offre –da quando è stato eletto- la sua testimonianza a chi vuole ascoltarlo e seguirlo sulla strada della povertà; e cerca di esortare la sua Chiesa a riscoprirne il senso. Ma è una voce, per quanto autorevole. Altri pensano che ancora, in questo mondo e in questa società dell’immagine e dei simboli, sia necessario mostrare segni del potere facili da comprendersi perché ben visibili e consueti: le automobili da ‘autorità’, gli aerei e gli elicotteri privati, i palazzi e le case… Come Briatore, o Clooney, o Cassano, o Putin (e troppo lungo sarebbe l’elenco). Tutti esecrabili esempi di malvagità umana? O solo idoli irraggiungibili e venerati per moltissimi contemporanei?
Qui credo che stia la differenza fra il ragionamento politico e il moralismo a buon mercato, sempre pronto sui blocchi di partenza. Rizzo e Stella (dalle pagine del “Corriere della Sera” (!!!) e poi con fortunatissimi libri a cascata) ne hanno inaugurato l’ondata più recente inventando l’idea di “Casta”, che ha avuto un enorme quanto scontato successo. Alla Casta vengono ascritti tutti gli appartenenti alla fascia alta dell’apparato amministrativo pubblico, che fruiscono di ‘facility’ e ‘benefit’ collegati ai diversi livelli delle funzioni svolte. Sono relativamente pochi e facilmente additabili all’esecrazione o all’odio di quelli del piano di sotto, assai più numerosi, che però sarebbero ben contenti di sostituirli nelle funzioni e nei “privilegi”. Curiosamente tanta esecrazione non si applica alla corrispondente fascia degli apparati privati, per la quale si accettano stipendi elevati ed elevatissimi, e corrispondenti vantaggi: anzi si sottolinea l’importanza del merito e del relativo riconoscimento come incentivo fondamentale per il miglior rendimento. E non si capisce perché questo non dovrebbe valere anche per la Pubblica Amministrazione. E’ facile capire che una categoria particolarmente adatta a essere esecrata è quella dei “politici” poiché sono collocati nella loro posizione dalle organizzazioni politiche, rappresentative di interessi complessi e non immediatamente riconoscibili dalla ‘base’ dei votanti. E in effetti la selezione del personale destinato a ruoli di rappresentanza politica avviene con criteri che privilegiano assai più la capacità dei candidati di raccogliere comunque consensi che non quella di esprimere competenze e professionalità amministrative e politiche. Ma invece di interrogarsi sui modi di esercizio della democrazia –che sarebbe una bella sfida di cultura politica- ci si esercita sulla lamentazione per chi, obiettivamente inadeguato e obiettivamente incolpevole, senza nulla saper fare o fare, si ritrova gratificato dalle famose facilities e dai benefits corrispondenti ai ‘posti’ ricoperti.
Nessuno si chiede se un cardiochirurgo famoso riceve compensi troppo elevati rispetto a un infermiere ben preparato, o se un alto dirigente di una banca percepisca compensi e vantaggi notevolmente maggiori di un funzionario o di un impiegato della stessa banca. Ma un deputato o un senatore, o un dirigente ministeriale sono subito ‘casta’, come se governare la vita di tutti fosse più facile e meno responsabilizzante che maneggiare denaro o intervenire su un singolo malato. Certo ci sono rappresentanti politici incapaci e inutili; ma intanto sono stati eletti o nominati, e dunque il problema è a monte; e poi è discorso del tutto diverso: non è problema morale ma politico.
Io continuo a credere che ognuno dovrebbe dare secondo le proprie capacità e ricevere secondo le proprie necessità; ma in un mondo in cui la monetizzazione del merito è un dogma di fede (con il corollario dell’identificazione fra merito e successo) Scilipoti o Razzi –che hanno avuto il merito di raccattare voti difficilmente raggiungibili- sembrano aver diritto alla loro ricompensa. E’ invece insopportabile il moralismo deteriore che fiorisce sull’alberello di Rizzo e Stella: stipendi e pensioni (rigorosamente pubblici) sono “d’oro”, senza domandarsi se siano percepiti secondo legge o in violazione di leggi, e riducendo quindi una valutazione giuridica a valutazione morale.
Ma se davvero si vuole intervenire per realizzare una giustizia distributiva progressivamente diffusa, bisogna cambiare ben altro che i sintomi di un male oscuro che sta nella concezione affermata dei rapporti di produzione e delle divisioni sociali presenti nel mondo. Sono il modello di sviluppo e i suoi corollari a dover essere eradicati alla base, mentre le elemosine variamente elargite servono solo a lasciare tutto com’è. Nella Chiesa come nella nostra società civile l’alternativa è sempre la stessa: tra conservazione e innovazione. Anzi, come dicevano i giovani negli anni Settanta (e come nel suo ambito sembra fare papa Francesco): l’unica soluzione è la rivoluzione.
Luigi Totaro