Caro Direttore,
tanti tanti anni or sono, guardando un telegiornale a casa, un mio piccolo figlio stupito e ammirato per l’elenco delle ricchezze e dei beni di lusso sequestrati a un clan mafioso, se ne uscì con una battuta indimenticabile che suscitò le risa dei presenti: “Da grande mi voglio iscrivere alla Mafia!”. E dopo alcuni istanti mi domandò: “Babbo, che è la Mafia?”. La domanda era assai impegnativa, considerando l’età appena scolare dell’interrogante. Ma, come spesso accade, il panico mi suggerì una risposta breve e chiara: “La Mafia è quando uno si fa le leggi da solo”.
Oggi, leggendo l’“A sciambere” sul tenditore di lacci, l’accorata e pacata denuncia di Fasola, e il commento che opportunamente allargava il ragionamento, mi è tornato in mente quel momento familiare e il suo senso: da una parte il mito della potenza del denaro, che abbaglia i “piccoli”; dall’altra il mito della forza del potere, che risparmia forse ancora i piccoli, ma devasta gli “adulti”: fino al delirio di farsi leggi proprie, di applicarle e ormai sempre più di frequente anche di comminare pene e dar loro esecuzione; fino al delirio puro della pena preventiva. Gli esempi riportati nel commento alla lettera di Fasola sono eloquentissimi; ma tragicamente si potrebbe continuare ad elencarne quasi senza fine: poiché anche chi evade le tasse sul reddito e sul lavoro ha varato una personale normativa fiscale; anche chi costruisce come vuole e dove vuole ha definito un personale piano di sviluppo edilizio; e chi scarica materiali indebiti dove capita ha elaborato una personale valutazione di impatto ambientale; e chi sceglie le vie brevi dei rapporti personali e informali nell’esercizio di funzioni pubbliche, chi “salta” le formalità definendole lungaggini burocratiche, chi pratica la norma consolante dell’“occhio non vede cuore non duole” ha applicato una propria riforma della Pubblica Amministrazione (della quale è certo urgente la necessità), modellata però su esigenze personali e momentanee. Per non parlare di chi punisce mogli, compagne, talvolta compagni, madri, figlie, vicini ecc., per la paura di essere in qualche modo sminuito da vere o presunte offese all’onore (cioè al potere sovrano del padrone).
Non voglio insistere, con il rischio di stemperare la drammaticità del fatto denunciato da Fasola: quando l’individuo diventa accusatore, giudice e giustiziere il cerchio della follia è chiuso, e resta solo la speranza che intervenga la ‘Giustizia di Tutti’ a fermare la volontà di potenza degli impotenti.
Ma il comportamento denunciato e quelli indicati negli esempi a commento appartengono tutti a quella che io additavo a mio figlio come cultura di Mafia. All’autorità preposta spetta il compito di perseguire e fermare gli autori di fatti criminali come la tagliola per umani. A tutti noi incombe il dovere di insistere senza tregua a contrastare la cultura di Mafia in tutte le sue manifestazioni, con il richiamo costante alla cultura della legalità. Auguri.
Luigi Totaro