Nonostante non sia elbano non riesco a farmi scivolare via quel profondo disgusto unito ad una radicale avversione verso le parole, gli atti politici, il borghese educato impersonale religioso mascheramento con cui i suddetti celano e manifestano la propria violenza, sinonimo di voglia di arricchimento (personale e dei propri amici), perseguendo solo un fine: la reificazione della terra elbana, e degli abitanti, a merce. Sia chiaro che non rispondo a quelle intenzioni perché esse hanno valore ma perché pongono comunque un peso che non si può tacere: esse comportano dei costi, delle precise conseguenze umane, economico-ecologiche. Solo per questo esse vanno prese sul serio, lo ripeto non perché abbiano sostanza politica ma perché contengono un germe di squilibrio e confusione. Premetto inoltre due cose: che ciò che accade al popolo elbano riguarda tutti; essere cittadini non è un concetto di mera appartenenza geografica ma un appello ad un tipo di attenzione come senso di appartenenza universale. La seconda è che non sono un medico che vuole curare le malattie altrui. Cerco di pensare e questo almeno per me significa cercare, non sottostare al pensiero dominante, alla moda della serenità.
Questo sentimento che provo è perché l’Elba racchiude, in maniera analogica, la trasparenza del vetro? Fatta di bellezza e purezza ma altrettanto fragile e vulnerabile. In essa, come in un cristallo, si manifestano con forte evidenza le tensioni quanto le lacerazioni dell’uomo moderno: una è quella delle pretestuose sicurezze con cui egli pretende di comandare alla Natura senza obbedirle, senza comprende in Lei ciò che per similitudine da lui ci si aspetti che giunga a piena maturazione. Un po’ essa mi sembra come nella favola di Gianni Rodari quel bambino di cristallo, simbolo di trasparenza; in cui la lealtà e la sua instancabile ostinazione contro ogni forma di umiliazione, offesa e persecuzione sono elementi che compongono la sua natura appunto di cristallo: "Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca". Ecco tratteggiato il palpito dell’Elba.
Quando delle pretestuose idee, surrogati di politica, davanti a questa manifestazione composita e di rara complessa realtà ecologica, parla di “boe intelligenti” a cui fare attraccare solo alcune barchette in modo da fare loro vivere l’esperienza di Pianosa, cosa stanno promuovendo? Dimenticando in un sol colpo che l’Elba non ha un ospedale, non ha strade e spiagge minimante sicure e tutelate contro l’appropriazione, non ha da parecchi lustri idee di politiche del lavoro con cui riqualificare le professioni storiche e definire dignitosamente quelle moderne (contro il lavoro a nero stagionale, humus per l’evasione) - in modo che si attenui l’uso indiscriminato dei voucher stagionali/flessibili (sinonimo di precarizzazione della vita) - non ha riqualificazione dell’offerta non solo turistica ma prioritariamente culturale, storica, architettonica, non ha un progetto benché minimo con cui poter insieme alla società pensare di fare finire il dissanguamento di chi per lavoro deve lasciare la propria terra. Quando poi queste idee passano ad imbrattare Pianosa (altro che le scritte di qualche stupido innamorato sui massi!) con veri e propri progetti di criminalizzazione con cui cercano di rinchiudere le persone in fuga da guerre – opera queste della lunga mano occidentale - richiedenti perciò sacro santo asilo, quali costi come sofferenze umane producono? E quando esse prendono le intuizioni e la volontà di associazioni ambientaliste serie e responsabili, stravolgendone il significato, quale tipo di organizzazione sociale intendono? Quando mistificano, pervertono tutto e tutti quelli che gli si pongono dinanzi con rigore scientifico e umano, quale progetto dominante stanno portando avanti? Quando per parlare di rilancio economico dell’isola, della ordinata crescita, l’unica “idea” infelice che esse sono capace di dire è: rendere fruibile per chi ha soldi quello che in Natura deve essere tenuto coeso e protetto, qual è il virus, quale è "il sentire neutro del farsi cosa"? Quando un paese intero non scende in piazza per chiedere le immediate dimissioni di sciacalli che diffondono idee del genere e che si pavoneggiano del tricolore di primo cittadino, quei cittadini da cosa sono contagiati? Quale frustrazione o quale libido invece li affascina? Quando questi fanno allignare quelle idee con frasi: "bisogna pur guadagnare qualcosa da questa terra, il Parco non può proibire tutto", "l’Elba può diventare un posto sostenibile anche senza regole", "abbiamo voglia di pescare quanto crediamo, allora rimpinziamoci" viene rappresentata quella base con cui verosimilmente il caos è legittimato a diffondere attorno a sé il male che soffre solo con la parola esplosiva poiché l’intelligenza, la giustizia, la dialettica del valore e del radicamento gli sono per natura impossibili; esse non portano voti, costano e non creano consenso. Non sono utilizzabili nella nozione di trasferimento che invece è lo spostamento impulsivo e frenetico con cui un’energia degenerata cerca la propria naturalizzazione, diffondendo solo disordine, cioè assenza di realtà.
Il Totalitarismo era un uomo normalissimo, capace di cose grandiose come avere mostrato che vivere dissimulando il bene costantemente col male - questo si che è trasferimento da questo a quello! - alla fine ci si doveva arrendere a questo poiché questo era diventato naturale, normale, una forma come un’altra di prosperità, di aspirazioni individuali e sociali. La sua struttura meccanicistica e la sua natura finalistica nel quale l’uomo (e la natura) era condotto a diventare inorganico, oltre la cosa materialmente concepita, lo avevano semplicemente educato a diventare attivamente elemento insostituibile di quell’ingranaggio sociale e statale. Quando si scende a questo livello si diventa ingranaggio, merce, dominio del regno dell’indistinto. Il lavoro come merce, la persona uccisa nella sua logica, la natura soggiogata alla crescita dell’idea di potenza, di limiti oltraggiati scevri da <<un’azione che li compensi>>. Tutto questo vive in queste striscianti idee “politiche” del nostro tempo.
E’ lecito quindi parlare di pensiero alienato e sradicante contenuto in esse? Alla stessa stregua di feticci? A quale condizione? Solamente ad una – imprescindibile; quella sui cui il pensiero nei suoi risvolti politici, economici, sociali e filosofici non può e non deve mai dimenticare che sta ragionando intorno all’Essere umano e alle condizioni d’esistenza nelle quali egli è chiamato a impegnarsi, per fondarle e radicarsi. Che questa nozione è enunciabile se ancorata alla sua sacralità. E’ malato in teoria tutto ciò che frammenta e spersonalizza ponendo la Persona nell’incapacità di determinarsi in maniera sufficiente ed autonoma davanti alle condizioni della realtà o peggio ostacolandone strutturalmente il diritto ad una vita semplicemente dignitosa, cioè orientata a quello spirito di unità che la presuppone. La frammentazione, diceva una filosofa del ‘900, invece è <<un carattere della sventura>>: queste “idee” a livello germinale o meno possiedono questo. Inoculando perciò in quell’Essere umano quel perverso processo consolatorio di ambizioni, premi e onori con cui prima o poi egli giunge a legittimare quella mentalità disarmonica e distruttiva. Invece di orientarsi con impegno ad acquisire quegli strumenti di lettura con i quali porsi davvero nella realtà, nel suo flusso dinamico e vitale, creandola, e in particolare curando quella relazione osmotica di sé insieme all’ecosistema. Autentiche condizioni di realtà con se stesso davanti anche ai propri fallimenti, accettando quegli degli altri, osservando e rispettando l’unità del cosmo. Vengono in quel processo strutturalmente dualista desertificate le sue tensioni, le sue aspirazioni profonde, la sua voglia di nobilitazione creativa, viene mutilato in profondità, viene portato a livello dello scambio mercantile, viene annientato. Spesso emulando la morte senza che essa abbia così una fine. Tutto questo con il suo consenso, silenzioso e quotidiano. Almeno che si abbia la lealtà di non parlare di tragedia della vita!
Non ci vuole nessuna particolare dialettica per comprendere il germe velenoso di queste idee, il loro carattere epidermico e superficiale; e non dobbiamo preoccuparci di una possibile cura se non le sappiamo prima osservare rigorosamente e con coraggio. Se non le sappiamo misurare. E’ qualcosa di molto più invisibile, di più contagioso di ciò che il loro apparire comporta ma che non deve rimanere sommerso. Pena il preoccuparsi solo delle boe che pensano o meno, proteggono o fanno fare soldi, dimenticandosi però che l’Uomo non deve galleggiare. Ciò rappresenta un compito, un dire e sostenere la necessità attuale della "parola contraria" al credo interessato di ogni costruzione sociale plasmata agli interessi del mondo globalizzato e che mira all’accettazione dell’anarchia inorganica su cui questa presunta politica si basa. E porosità nel senso dell’estensione sconfinante "è la caratteristica specifica del vampiro" che si appropria indebitamente dello spirito del Bene comune come dell’essenza di ogni individuo.
Pierpaolo Calonaci, educatore, docente, esponente della redazione del Centro Gandhi di Pisa