SCIENZIATI DOPO L'AMARO FIELE DELLE ELEZIONI
A Marciana Marina è stata organizzata una mostra di fotografie sulle trasformazioni del paese tra l'Ottocento e il Novecento. Di fronte alle vecchie foto, le persone "normali" sorridono, si meravigliano, commentano con gli amici.
Un Grande Sciiienziato no.
Un Grande Sciiienziato soppesa tutto meticolosamente, scruta in filigrana ogni immagine, solleva critiche sferzanti su quello che manca o su quello che doveva essere presentato in tutt'altro modo.
Così una mostra fotografica estiva viene sublimata a questione suprema della Cultura, della Storia, della Scienza e dell'Arte (paroloni da scrivere rigorosamente con l'iniziale maiuscola). La conclusione è il famoso detto di Gino Bartali: è tutto sbagliato, è tutto da rifare.
Ma esiste un'altra versione dei fatti, che è più maliziosa. Gli esperti di "dietrologia" dicono di sapere che c'è una manovra studiata a tavolino dal Furbacchione Occulto.
Lo Sciiienziato − arruolato da anni al servizio del passato regime − sarebbe stato mandato con una missione precisa: cercare un pretesto, come che sia, per rifarsi un po' la bocca, dopo aver trangugiato l'amaro fiele delle elezioni.
A questo scopo lo Sciiienziato ha avuto una "pensata" originale: dimostrare la superiorità culturale del «ciumeismo».
LE SCOPERTE DI "CIUMEI E &" (loro scrivono così)
Superiorità culturale del Ciumei? E chi ne dubita?
È noto che, durante il "Decennio" ciumeiano, il sindaco stesso era impegnato in prima persona nell'Alta Ricerca Sciiientifica.
La gente era convinta che se ne stesse spaparanzato al bar. Nossignori: il sindaco − come ha scritto lui stesso nel 2014 − dedicava tutto il suo tempo libero a vagare per i viottoli tra le Calanche e Serraventosa, tra monte Perone e la Galera.
La sua missione era quella di «proteggere» (sic!) il «monte Campana», che noi del popolino marcianese siamo abituati a chiamare monte Capanne.
"Proteggere" da che? Questo aspetto non è chiaro.
"Ciumei e &", cioè Ciumei e soci hanno scoperto che il monte Campana non è un monte qualunque: scrivono che per i nostri bisnonni etruschi era il «santuario della Grande Dea» (sic!). Forse attendono da un momento all'altro che venga alla luce la tomba di re Marcinna.
Ma perché il Ciumei volesse fare la scorta al monte Campana bisognerebbe chiederlo a lui.
Resta il fatto che il Ciumei era in prima linea e che "Ciumei e &" grondano cultura da tutti i pori.
Dall'ambito dell'archeologia lo scarto culturale si estende a tutto lo scibile umano. Questo incolmabile gap è stato ribadito, pochi giorni fa, dal breve ma intenso "Saggio sulla dialettica hegeliana e la democrazia dell'Occidente".
Ciumei, infatti, oltre che imprenditore, è anche semi-architetto, quasi-etruscologo e iper-filosofo.
LA STORIA UNIVERSALE
La mostra non aveva la pretesa di spaziare dall'arca di Noè fino alle palafitte del «porto nuovo». Già nel titolo erano fissati limiti cronologici precisi: l'arco di tempo tra l'Ottocento e il Novecento.
È noto che, per esporre la storia universale, non si usano le mostre temporanee, ma i libri. E questo paese ha già visto nel 2014 la pubblicazione di un Libro, che venne presentato come un super-concentrato di Scienza: era quel libro il vero fiore all'occhiello del "Decennio" ciumeiano.
Non a caso decine di casse contenenti mille copie del libro furono depositate negli uffici comunali, perché fossero distribuite al pubblico dagli impiegati in orario di servizio, davanti a centinaia di testimoni.
Per celebrare degnamente l'avvenimento, l'allora sindaco finanziò − a spese del Comune − una grandissima festa popolare in piazza, culminata nella consegna di una targa d'argento all'Autore (pagata anch'essa, ovviamente, con i soldi dei cittadini). Si rinverdivano i fasti del mussoliniano "Ministero della Cultura Popolare" (più noto con la sigla MinCulPop, su cui non commento).
Molti furono gli applausi, molti gli osanna. Ma quanti ebbero voglia di leggere quelle pagine?
Toccò a me − coinvolto, mio malgrado, nella polemica su un fornice aperto quarant'anni fa a Portoferraio − il compito di segnalare qualche chicca insospettata.
E fui sùbito ripagato dalle insolenze del trio Zecchini-Centauro-Ciumei: il sindaco scrisse che le mie affermazioni erano “un cumulo di falsità e di offese gratuite sciorinate a getto continuo, per così dire senza bisogno di guttalax”. Quando replicai parlando di maleducazione, ebbe la faccia tosta di lamentarsi.
ARCHEOLOGIA PER VIA ETIMOLOGICA
La novità più strepitosa del Libro fu l'invenzione − "sciiientifica" − di re Marcinna, fondatore eponimo di Marciana e dunque il primo marcianese della storia.
Gli archeologi ebbero un'idea brillante. Crearono una «Scienza nuova»: l'archeologia per via "etimologica", cioè attraverso l'investigazione sulle origini delle parole. I vantaggi sono evidenti: le etimologie costano poco e non costringono a sporcarsi le mani con la terra degli scavi. Ma soprattutto sono elastiche: si prestano alle più allegre manipolazioni.
Nel dialogo che segue, cercherò di mostrare ai lettori un esempio di Ricerca archeologica per etimologie:
− Marciana…? Come diamine si poteva chiamare il Re che fondò Marciana?
− …ciana-cinna. Elementare, Watson: il fondatore di Marciana fu re Marcinna.
− E da quale delle città etrusche fu fondata la colonia etrusca di Marcina, presso Salerno?
− …cina-ciana. Elementare, Watson: Marcina fu fondata da Marciana.
E sempre avanti così.
Com'è strana la vita. A volte uno sta a lambiccarsi il cervello. E invece le soluzioni vengono a galla senza sforzo, d'emblée. Ma come si fa a sfornare manicaretti così appetitosi? La ricetta è semplice: la prima boiata che ti salta in mente, tu la butti lì. E sei a posto. L'importante è che non ti scappi da ridere.
A proposito di etimologie, il Vocabolario Treccani spiega che l'etimo di «boiata» deve essere cercato nel dialetto milanese, dove indica l'abbaiare dei cani.
Ma il Grande Libro non narra soltanto la Genesi dei marcianesi. Dopo averci rivelato il nome del nostro progenitore, il libro percorre rapsodicamente i millenni e si spinge fino ai nostri giorni, per analizzare e sviscerare a fondo problemi cruciali del mondo contemporaneo quali la sora Cleofe e il suo stabilimento balneare.
Non manca neppure una disquisizione critica sulle esche scelte per eliminare i topi neri che infestavano Montecristo.
È un libro strano: in alcuni capitoli la sintassi è ballerina; il lessico è bizzarro; si notano ridicole sgrammaticature ("Giasone e &", "Rubattino e &"). In compenso, abbondano le gag (involontarie).
C'è di tutto un po'. Gli tsunami che scendono dai monti. L'eponima fuliggine. L'acropoli del Chiuccolo. La proposta di ricercare in mare le tracce degli Argonauti con i minisommergibili. Le «interessanti» e «mirabili» incisioni lasciate sul granito dalla punta del piccone. Un laghetto a Risecco, che fungeva da porto per un emporio etrusco tra i più grandi del mondo antico, ma di cui nessuno storico ha mai parlato e nessun rudere è stato mai trovato. E così via pontificando.
DEMOETNOANTROPOLOGO
Torniamo alla mostra. Fra i visitatori più cool è stato notato il dott. Zecchini, già «fiore all'occhiello» (anche lui) della vecchia amministrazione, di cui egli stesso si è definito il consulente «demoetnoantropologico».
Accidempoli che definizione. Una vera sciccheria. La parola ha un suono maestoso e tonitruante. È composta da ben quattro vocaboli greci: e la lingua di Aristotele è, da sola, garanzia di scientificità.
Sembra uno scioglilingua, come quello dell'arcivescovo di Costantinopoli che si disarcivescoviscost…
Provate voi a ripetere a memoria "demoetnoantropologico", senza sillabare e senza ridere. Non ci riuscite? Zecchini è così: è ineffabile.
Per tutto il tempo della visita, lo Scienziato aveva stampato sulla faccia un sorrisetto stirato, scialbo, sforzato: anche lui è apparso un po' acciaccato per la "tranvata" elettorale.
Era accompagnato dall'ex sindaco, che gli trotterellava intorno, vispo come una cutrettola.
PARTEGGIAVA, MA SUPER PARTES
Troppo narciso per stare in un partito, si è sempre vantato di sentirsi al di "sopra" delle parti. Faceva «parte per sé stesso». Esattamente come Dante Alighieri…
Tuttavia nelle ultime elezioni comunali l'Uomo al di sopra delle parti ha pensato che il Sommo Bene del paese esigesse da lui il sacrificio di sbilanciarsi.
E così − sempre restando au-dessus de la mêlée, al di sopra della mischia − ha pubblicato non uno ma due appelli a votare a favore dei «bravi ragazzi» del Ciumei, che del Sommo Bene sono − senza ombra di dubbio − l'incarnazione.
Si è proposto addirittura come il «garante» del Ciumei davanti agli elettori.
Garantiva Lui in persona, con tutto l'immane pondo del suo prestigio intercontinentale.
La figura di un «garante» venuto da Lucca era una trovata sorprendente. Però non è stata molto efficace: forse gli elettori si erano già fatti un'idea abbastanza chiara del sindaco che li governava da dieci anni. Fin troppo chiara, come si è visto.
UN CARATTERINO VIVACE
Durante la visita non ci sono stati incidenti, nonostante che il dott. Zecchini sia famoso per il suo «caratterino» dagli improvvisi sbalzi di umore. Lui stesso ha raccontato che, quando entrò per la prima volta nel museo archeologico della Linguella, dopo un quarto di secolo dall'inaugurazione, rimase «inebetito» (sic) perché si accorse che nella didascalia introduttiva una parola era priva di una «i». L'assenza della vocale era così orripilante da sconvolgerlo: uscì immediatamente dalla stanza e fuggì via a gambe levate, senza riuscire a guardare neanche un coccio.
Di recente, proprio sulla gestione del museo della Linguella, ha polemizzato con l'Amministrazione comunale di Portoferraio, tanto che il consigliere Nurra gli ha ribattuto, a muso duro, che i suoi messaggi erano falsi, «nocivi e stupidamente allarmanti» (sic!). Dopo la brusca risposta, il dott. Zecchini si è sentito pago e la polemica è cessata.
Corre voce che, per sopire le sue «ire funeste», gli amici abbiano messo a punto un protocollo terapeutico personalizzato di training autogeno, che è risultato "scientificamente" più efficace delle tisane calde di camomilla. La terapia consiste nel diffondere in giro la notizia (falsa) che insegnasse nientemeno che all'Università.
Appena lo chiamano «Docente Universitario», come d'incanto appare trasfigurato, rasserenato. Pervaso da un piacere voluttuoso.
Tale e quale (si parva licet componere magnis) un bambino che succhia un cioccolatino.
Quest'anno nei manifesti affissi sui muri del paese la qualifica di «docente universitario» è stata sostituita con quella di «studioso di storia»: sembra però che il trattamento sia risultato meno efficace.
In fin dei conti, queste nostalgie «accademiche» − ancorché fasulle − sono sciocchezzuole che non fanno male a nessuno: a una certa età, può succedere che si confondano i sogni a occhi aperti con la realtà.
IL MOTO PERPETUO DELL' «INGENIOSO HIDALGO»
Quando non è ammansito dal suo cioccolatino «universitario», basta un nonnulla perché si inviperisca e si cacci, a capofitto, in tutte le battaglie possibili e immaginabili, caracollando − lancia in resta − contro mulini a vento, ministri, soprintendenti, archeologi delle Università, amministratori comunali, oppositori del Ciumei, giganti e guerrieri saracini.
Soltanto nella battaglia lui si sente ancora vivo.
"Conflìgo ergo sum": aggredisco, dunque esisto.
È tanto inferocito contro il prof. Cambi dell'Università di Siena, non perché è geloso (come qualcuno maliziosamente sospetta), ma perché vuole attirare l'attenzione degli altri e mandare il messaggio che al mondo c'è anche lui. Un atteggiamento tipico della specie homo sapiens sapiens. I nipiologi spiegano, per esempio, che il pianto a vite tagliata dei primi mesi non è un sintomo di patologie, ma un segnale di comunicazione per richiedere attenzione.
Nella piazza di Marciana Marina (col Ciumei in veste di primattore) Zecchini mise in scena un suo dialoghetto per aggredire alcuni amministratori di Portoferraio, fra i quali il sindaco Peria, il sindaco Fratini e anche persone defunte.
Negli ultimi mesi, se l'è presa con le incolpevoli parenti di chi − sfidato da lui − aveva osato replicare... Per fortuna, nel microclima da operetta della nostra isola, le vendette non vanno oltre le punturine di spillo.
Se qualcuno lo critica, risponde minacciando querele e sfaceli. E non esita a lanciare accuse farneticanti. Come ho potuto sperimentare direttamente.
A me, per iscritto, ha augurato di vomitare per la chemioterapia. Uno che non si vergogna a rendere pubblico un augurio così disumano (che lo rende inviso a tutti i malati di tumore), deve avere molto pelo sullo stomaco. Oppure parla senza rendersi conto di quello che dice.
Nel febbraio del 2016 mi ha accusato di aver ispirato le inchieste giudiziarie all'Elba, che finirono sui giornali negli anni 2003 e 2004. Un'accusa folle, perché mi ero dimesso dalla scuola nel 2001 e mi ero trasferito definitivamente a Pisa, per la grave malattia di un familiare. Lo Zecchini anche di fronte alla morte, ha rivelato la sensibilità di uno schiacciasassi.
DICTATUS PAPAE
Divorato dall'idea fissa di manifestare al Mondo la sua Gloria, pretende di giudicare tutti e di non essere giudicato da nessuno. Una pretesa, a dir poco, stravagante.
Rivangando tra i miei polverosi ricordi di vecchio insegnante di storia, ho trovato una certa somiglianza con l'indomita figura del monaco maremmano Hildebrandus che, divenuto pontefice romano col nome di Gregorio VII, aveva scritto, quasi mille anni fa, che nessuno può giudicare il papa, ma il papa giudica tutti, e a lui sono riservate tutte le «cause maggiori», «maiores cause cuiscunque ecclesie» (sic).
Marx diceva che «i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte».
E aggiungeva: «la seconda volta come farsa».
Con Zecchini, che si atteggia a reincarnazione laica di Gregorio VII, siamo alla farsa.
Proviamo a fare «un breve ripassino», come direbbe il Ciumei. Ma non un ripassino di dialettica hegeliana, che lascio a lui. La Costituzione repubblicana (art. 21) riconosce al dott. Zecchini il diritto di scrivere quello che vuole su qualsiasi argomento. Ma deve essere chiaro che tutti i cittadini italiani hanno lo stesso diritto. E se lui ha il diritto di criticare l'apertura di un fornice oppure una mostra di fotografie, io ho il diritto di ricordare gli errori madornali, le assurdità, le ridicolezze, le papere di un libro pretenzioso e borioso firmato da lui.
Qualcuno gli dovrebbe spiegare che è finito il tempo in cui egli poteva imperversare a suo piacimento con la matita rossa e blu, distribuendo patenti di asino a sindaci e a professoresse universitarie.
ABATINO NUMERO TRE
Sulla scia del Maestro, anche il suo discepolo preferito − il non più sindaco Ciumei − si era occupato di me. E mi aveva affibbiato il soprannome di «abatino numero due». Era molto compiaciuto della sua battuta di spirito sul mio passato di chierichetto. E rideva, rideva, rideva di gusto.
Mi dicono che, da metà giugno, ride meno.
Però qualcosa sta bollendo in pentola. L'uomo bionico, sempre intento a "spippolare" sul telefonino per "cinguettare" su Facebook, non sembra più lui: il saccente anticlericalismo di un tempo comincia a rivelare qualche incrinatura. Mi raccontano che, per la festa patronale, era in prima fila alla Messa cantata del Vescovo. Al Confiteor si è battuto tre volte il petto, a capo chino, ripetendo «mea culpa» con edificante compunzione. Faceva pensare al San Gerolamo di Leonardo dei Musei Vaticani.
A vederlo così assorto in religioso raccoglimento, quasi quasi si poteva sospettare che fosse perfino sincero.
Al termine del solenne Pontificale, è andato a rendere omaggio al Prelato, genuflettendosi per baciare l'anello episcopale (e con quel pio bacio ha lucrato cinquanta giorni di "indulgenza", che un domani − non si sa mai − potrebbero far comodo).
La sera, è sfilato in processione per le vie del paese, salmodiando devotamente e gorgheggiando inni alla Santa.
Questi gesti di devozione hanno lasciato sconcertati i Fratelli muratori più tradizionalisti, che ricordano con nostalgia i bei tempi del moccolo pirotecnico. I fratelli più «ruspanti» gli hanno appioppato il nomignolo di «abatino numero tre».
La sua presenza in chiesa è soltanto ipocrisia? O è l'inizio di un'autentica trasformazione interiore? Non sta a me giudicare: Agostino era convinto che nella parusia emergeranno molte situazioni inaspettate. Però, se vuole essere preso sul serio, cominci con un gesto concreto: vada a chiedere scusa a quel nostro compaesano, affetto da un tremore involontario, al quale, all'inizio di giugno, aveva domandato, beffardo, se tremava perché prevedeva di perdere le elezioni. Non tutti sanno che il Ciumei, ottenebrato dal suo narcisismo, è stato capace anche di tali comportamenti.
Qui si chiude la digressione sul discepolo preferito. È tempo di ritornare al Maestro.
RAGLI
Quando l'ex sindaco Pasquale Berti citò una frase evangelica nella grafia del latino medievale, il dott. Zecchini lo definì un «asino».
Scrisse proprio «asino»: papale papale. Senza perifrasi e diplomazie.
Senza pietà.
Inutile spiegargli che milioni di intellettuali, per secoli e secoli, si erano espressi così, e che anche Dante Alighieri e Francesco Petrarca usavano quel latino. Zecchini, che ha una laurea in lettere, non può non saperlo: ma per lui erano tutti «asini».
È convinto che l'unico che non raglia è lui.
Sopra ho riportato una brevissima citazione dal Dictatus papae di Gregorio VII. Sicuramente Zecchini avrà preso la sua implacabile matitina per segnare che tre parole su quattro sono «errori». Ma papa Gregorio visse undici secoli dopo Cicerone; e Zecchini sa bene che tutte le lingue, nel corso dei secoli, subiscono trasformazioni radicali.
Inoltre papa Gregorio non aveva sottomano l'Appendice del Campanini Carboni, da cui certi «Latinisti» (di cui non farò i nomi) sono soliti attingere stentoree citazioni ciceroniane.
Per l'insulto arrogante e del tutto gratuito, Zecchini non si è mai scusato, come sarebbe normale tra persone civili.
APRE LA BOCCA E DÀ FIATO
Sulla mostra fotografica ha scritto che le immagini sono esposte senza "caratteri di scientificità": «manca perfino la più pallida notizia sulle origini della Torre, che pure è il simbolo del paese, sulla sua cronologia e sulla committenza».
Non arrivo a comprendere come la cronologia e la committenza della torre possano aver influito sull'evoluzione del paese tra l'Ottocento e il Novecento.
Purtroppo si ha l'impressione che talvolta il Luminare apra la bocca e dia fiato a caso.
Mi viene in mente che sulla cronologia della Torre avevo già letto qualcosa di interessante in quel libro famoso, che non mi stanco mai di citare.
Sono affermazioni che, più tardi, approfondirò.
PASTA E CECI PER PEPPE ER PANTERA
Pochi giorni fa, ho rivisto in televisione "I soliti ignoti" di Monicelli. Vittorio Gassman recita la parte di "Peppe er Pantera", uno sbruffone come ce ne sono tanti, che vorrebbe pianificare un furto al Monte di Pietà con metodo «scientifico». Poiché il personaggio è un po' balbuziente, ripete decine di volte la parola "Sciiie-nnnn-tifico".
«Er Pantera», insieme con Capannelle e gli altri compari della banda, frequenta anche un corso di aggiornamento sulle tecniche di sfondamento "sciiientifico" delle casseforti, tenuto dal libero docente professor Totò. Alla fine i ladri−sciiienziati sfonderanno il muro sbagliato e si ritroveranno in cucina, dove si consoleranno tuttavia con un piatto di pasta e ceci.
Spesso ci capita di ascoltare, anche in TV, persone che si riempiono la bocca con la parola "sciiienza", tanto per darsi delle arie e cercare di mettere in soggezione gli altri con la loro prosopopea.
Anche il dott. Zecchini parla di scientificità con scrupoloso rigore, soprattutto quando polemizza col prof. Cambi. Ma non era altrettanto rigoroso con sé stesso mentre scriveva il suo libro: in un prossimo articolo farò qualche esempio.
Per non perdermi nel mare magnum delle polemiche, delimiterò nettamente il campo, analizzando soltanto queste quattro «scoperte», illustrate nel libro:
1) la cronologia della torre di Marciana Marina;
2) la zecca di Marciana;
3) l'etimologia del toponimo Cotone;
4) la carta geografica etrusca del nostro arcipelago, tracciata sul granito di un monte.
La mia opinione è che la trattazione di questi temi nel libro del dott. Zecchini non sia scienza, ma sogni a occhi aperti, chiacchiere a vuoto, millanterie.
Non riesco a vedere in che cosa le sbrigliate fantasie del dott. Zecchini − Grande Luminare e Grande Scienziato − siano diverse dai vaniloqui "sciiie-nnnn-tifici" di Peppe er Pantera, fanfarone e piccolo pallone gonfiato del Lumpenproletariat della capitale.
Gian Piero Berti